Mi riesce difficile pensare che qualcuno possa credere alla commedia che si sta svolgendo in Medio Oriente il cui copione viene purtroppo scritto con il sangue del genocidio di Gaza e i bombardamenti indiscriminati nel Libano. Si tratta di uno spettacolo volto a sovrapporsi a una realtà talmente inaccettabile per l’egemone e per Israele che la migliore tattica è ignorarla o meglio nasconderla con esibizioni muscolari da salotto. Dopo il fallito attacco sionista all’Iran il panorama strategico è completamente cambiato: Teheran è ormai riconosciuta come lo stato più potente della regione e tecnologicamente più avanzato di Israele, possiede un moderno sistema di difesa aerea multistrato in grado di contrastare qualsiasi potenziale attacco al suo territorio, ma ha anche una grande riserva di missili balistici ipersonici in grado di eludere i sistemi di difesa aerea israeliani.
La risposta a questa situazione è affidata ad Hollywood, tanto il pubblico occidentale è ormai aduso alle solite cavolate e ci cade mani e piedi. Gli Usa hanno infatti ritirato la portaerei Abraham Lincoln, quanto meno dotata di caccia moderni e al suo posto hanno schierato sei B-52 in Qatar. Non ha alcun senso. Intanto perché collocare dei bombardieri strategici che quanto meno hanno un’ampia autonomia di volo e possono portare missili da crociera di medio raggio, proprio sotto il naso dei missili iraniani, a 500 chilometri da Bandar Abbas? E poi perché i B-52 che sono in assoluto gli aerei più vecchi del mondo (entrati in servizio nel 1955) e sarebbero una facile preda anche di sistemi antiaerei di vecchia generazione? La riposta non è così semplice: si tratta di pura scena, di un bluff organizzato per mostrare che gli Usa fanno qualcosa per evitare una risposta iraniana contro Israele che ormai è attesa come imminente, oppure quei bombardieri sono una specie di invito al tirassegno per Teheran in modo da provocare un intervento diretto degli Stati Uniti?
Di certo il Pentagono sa che una guerra diretta con l’Iran, anche ammesso che non si trasformi in un conflitto mondiale, porterebbe inevitabilmente alla distruzione delle sue basi militari e dei suoi giacimenti petroliferi in tutta la regione mediorientale, mandando l’economia statunitense in una picchiata tale da mettere fine all’impero. Ma come si può facilmente arguire dalla natura dei candidati in ballo per la Casa Bianca e da quella dello stesso Netanyahu, non sembrano esistere strategie di lungo respiro, ma solo tattiche di breve termine che per ora hanno scosso le fondamenta stessa di Israele: nonostante l’immensa strage a Gaza, Tel Aviv non è riuscita a stroncare Hamas; nel Libano meridionale le cose si stanno mettendo molto male perché l’esercito israeliano non avanza e continua a registrare notevoli perdite in uomini e mezzi; la sua deterrenza nonché il suo status di maggiore potenza del Medio Oriente sono stati mandati in fumo dall’Iran; la sua economia è a pezzi con 40 mila aziende chiuse e un milione di abitanti che se ne sono andati via, tra cui anche persone importanti per il sistema economico e culturale.
Di fatto l’esistenza stessa di Israele come stato “eccezionale” è sulla strada di essere spazzata via e probabilmente non è lontanissimo il tempo in cui il Paese sarà costretto ad accettare la normalità e a ritagliarsi un ruolo nel nuovo ordine emergente abbandonando le sue ambizioni espansionistiche per vivere e lavorare in collaborazione con i suoi vicini. Il che è una buona notizia non soltanto per le vittime delle guerre sioniste, ma per gli israeliani stessi. Contemporaneamente anche gli Usa saranno costretti ad abbandonare il loro presunto “destino manifesto” almeno che non preferiscano l’armageddon alla convivenza. Il problema è che non si sa bene chi farà le scelte decisive visto che la Casa Bianca è solo un luogo meramente simbolico, mentre il potere reale è altrove. Tutti e due i candidati si sono espressi per l’appoggio incondizionato ad Israele, qualunque cosa faccia: ma ormai sembra uno spalleggiarsi guardingo tra due “eccezionali” che si avviano ad essere ex.