Il Senato ha approvato il DDL sull’autonomia differenziata proposto dal ministro leghista Calderoli. Ora la palla passerà alla Camera per l’approvazione. Tale provvedimento è stato voluto fortemente dalla Lega ed è un pegno che la premier, Giorgia Meloni, paga a questo partito. Non bisogna però dimenticare che anche Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia Romagna e attuale Presidente del PD, ha per anni appoggiato il “progetto”, sostenuto dalla complessa rete di aziende, cooperative, imprese della regione da lui amministrata anche se ora, per ovvie ragioni, ha dovuto fare retromarcia.
Questa ennesima controriforma che approfondirà ulteriormente la spaccatura fra nord e sud del paese penalizzando pesantemente le regioni meridionali che ovviamente dispongono di risorse molto più scarse da destinare alla spesa sociale, è soltanto l’ultima in ordine di apparizione e va ad aggiungersi al processo di smantellamento dello stato sociale portato avanti indistintamente da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi decenni, rigorosamente agli ordini della tecnocrazia che governa l’UE.
Tutto ciò conferma che a distanza di più di centossessant’anni dalla fondazione dello Stato unitario italiano, il processo di unificazione del paese – già caratterizzato da laceranti contraddizioni – non solo non è stato completato ma conosce una grave battuta d’arresto. La “Questione meridionale” è ancora lì, e non c’è nessuna intenzione – né c’è mai stata, a parte gli sforzi di pochi singoli esponenti politici e del mondo della cultura – di affrontarla veramente nell’ottica di un suo positivo superamento. Il Meridione “arretrato” funge tuttora da bacino di manodopera (e di materie prime) a basso costo per il nord industrializzato in una perfetta logica di divisione delle funzioni che il sistema capitalista attribuisce alle diverse aree, al centro e alla periferia. Il “Mezzogiorno d’Italia” rappresenta quello che il Sud del mondo, quello che chiamavamo “terzo mondo”, rappresenta per le grandi potenze industriali e capitalistiche del “primo mondo”.
Duole e dispiace dirlo ma sia la storia passata che quella più recente dà ragione a quegli studiosi che sostengono che il Risorgimento italiano – al di là delle migliori intenzioni di molti – nella sua concreta e storica determinazione sia stato un sostanziale processo di annessione imperialistica da parte della borghesia industriale settentrionale in accordo o con la più o meno tacita complicità delle classi agrarie e possidenti meridionali.
Mi pare che a distanza di un secolo e mezzo questa analisi possa essere confermata.
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