di Aldo Di Lello
C’è uno spettro che si aggira per l’Italia, uno spettro ancora piccolo, ma in sorprendente crescita. Parliamo di Italexit, partito fondato da Gianluigi Paragone con l’obiettivo di far uscire il nostro paese dall’unione monetaria europea.
Fino a pochi mesi fa era considerata un’espressione marginale dell’odierna politica italiana. Dove mai può andare una formazione inventata da un senatore espulso dal M5S? Invece Italexit ha smentito clamorosamente i suoi detrattori snob: in base all’ultima rilevazione Ipsos, di Nando Pagnoncelli, è al 4,5 per cento, triplicando i consensi in una manciata di mesi: a gennaio era all’1,5. Oggi Italexit raccoglie più intenzioni di voto sia di Azione/+Europa sia di Italia viva, partiti che possono contare, a differenza dei No Euro, su una straordinaria esposizione mediatica, ma il cui messaggio “contro tutti i populismi e sovranismi” pare non sfondare, raccogliendo consensi solo tra élite, ceti privilegiati e global class .
Già in questo confronto si conferma, tra le altre cose, l’efficacia dei new media (Italexit dispone di un milione e mezzo di fan Facebook) rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali: Calenda , Renzi e tutti i notabili neomoderati si avvalgono di interviste, servizi, comparsate televisive che un soggetto come Gialuigi Paragone si può solo sognare, pur essendo stato a suo tempo un direttore di giornale e poi un conduttore televisivo.
Il problema però non è il medium ma il messaggio, nel senso che le parole d’ordine, radicali, di Italexit riescono a fare più facilmente breccia nel pubblico rispetto a messaggi politici intrisi di terrorismo psicologico, da una parte (“sarebbe un sciagura se vincessero i sovranisti”), e di rassegnata fiducia nelle istituzioni, dall’altra (“al di fuori dell’Europa non c’è salvezza”).
C’è da dire che l’abilità di Gianluigi Paragone è stata anche quella di raggiungere con il suo messaggio diversi settori politicamente scorretti dell’opinione italiana: non solo i No Euro ma anche i No vax e No green pass e ora anche coloro che sono contrari all’invio di armi all’Ucraina. Dallo scoppio della guerra, il 24 febbraio, Italexit s’è distinta nella campagna a sostegno della via diplomatica in polemica con l’ipocrisia del “pacifismo armato”.
Ma anche qui, a fondamento delle posizioni “politically incorrect” di Paragone, militano ragioni strategiche di fondo, al di là dell’efficacia del linguaggio politico del senatore ex pentastellato. Queste ragioni sono le stesse ragioni del sovranismo, un fenomeno che solo gli spiriti superficiali e/o prevenuti possono considerare transitorio.
La crescita di consensi di questo nuovo partito dimostra la profondità del disagio di ampi strati della popolazione italiana, il disagio dei ceti medi impoveriti, dei lavoratori a rischio licenziamento, dei giovani senza futuro, dell’ascensore sociale bloccato, il disagio prodotto anche dai tagli alla sanità e ai servizi sociali essenziali. Tutte questioni ben lungi dall’essere risolte. Ci dimostra, il consenso per Paragone e i suoi, che negli strati più profondi dell’opinione pubblica c’è come la percezione che nulla cambierà, che anzi la situazione andrà a peggiorare, con buona pace dell’ottimismo di maniera ostentato dal governo a proposito del Pnrr.
Ad accrescere questo disagio c’è anche la sensazione diffusa di un impoverimento della democrazia nel nostro paese, vuoi per il regime di rigido controllo sociale imposto con i green pass, vuoi, più recentemente, per le decisioni governative di sostegno incondizionato alla politica Nato, un fatto, quest’ultimo, che espone l’Italia al rischio di un coinvolgimento bellico (al di là del già pesante caro-bollette), scavalcando il parere dei cittadini e le decisioni del Parlamento.
Il consenso crescente per Italexit è un fatto parallelo alla crisi che stanno attualmente vivendo sia la Lega sia il M5S. Ma non si tratta solo di una questione di vasi comunicanti, bensì della richiesta, diffusa in Italia, di svolte radicali nella politica.
Non possiamo certo prevedere la sorti future di questo movimento. Potrebbe anche fare flop alle prossime elezioni o subire un regresso per eventuali scelte sbagliate del suo leader.
Un fatto però è certo: dopo il sovranismo ci può essere solo il sovranismo. E, se una mano comincia a essere stanca di reggerne la bandiera, un’altra mano è sempre pronta a sostituirla.
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