La Bibbia non è solo un libro sacro, essa è il deposito dell’esperienza dei popoli e degli esseri umani giunto a noi per essere accolto, filtrato ed interpretato. Il testo è polisimbolico, si presta ad una lettura plurale, pertanto vi è un’eccedenza di significati con cui ricostruire una nuova prospettiva storica. Se ci si accosta in modo laico si possono riscontrare nei simboli e nelle vicende rappresentate l’eternità delle “speranze” umane nella storia. Per far emergere tale livello bisogna superare ostilità e pregiudizi che si sono sedimentati con il laicismo capitalista, che nella sua furia del dileguare esemplifica e neutralizza simboli e allegorie mediante i quali è possibile decodificare la storia e il nostro tempo. Il testo sacro può essere letto in modo laico per scorgervi temi etici eterni. Un popolo senza religione è come una chiesa senza altare, affermava Hegel, un popolo che non riconosce l’universale, simbolizzato dall’altare e da Dio, è un popolo in una fase di declino. Senza l’universale un popolo è solo plebe, è un ammasso di individui incapaci di riconoscersi in una comune natura umana. I simboli religiosi sono la linfa che consente la rielaborazione laica di problematiche, a cui la sinistra comunista ha dato voce riportando i paradigmi del cielo in Terra. L’ostilità verso la cultura religiosa e l’ignoranza incentivata dal sistema capitalistico su tali temi ha lo scopo di recidere la ricchezza simbolica del sacro da cui trarre lo “scandalo” etico per nuove rielaborazioni. K. Marx, W. Benjamin ed E. Bloch sono stati critici verso l’uso strumentale della religione per opprimere, ma ne hanno utilizzato immagini e simboli per denunciare le tragedie del capitalismo. La fine della cultura religiosa nell’Occidente è uno dei mezzi più potenti che il capitalismo utilizza per desimbolizzare il pensiero e abbattere la sinistra comunista. Una civiltà è florida, se dialettica, se al suo interno vi è una polifonia di voci. Il capitalismo ha annichilito ogni universale e voce, è il monotono sibilo che desidera e vuole solo se stesso. Uccide il lavoro e la creatività umana, deve produrre falsi universali per sostenere contrapposizioni identitarie. Gli universali posticci non sono che strumenti per confermare il sistema e neutralizzare la prassi e la critica. Siamo nel “niente assoluto”. Costanzo Preve definì il capitalismo nell’attuale fase “assoluto”, perché adialettico, ma, forse, sarebbe più corretto definirlo “niente assoluto”, poiché simboli e concetti sono stati sostituiti dalla merce da consumare, per cui corpi e merci sono “niente”.
Il niente
Nella Bibbia vi è la consapevolezza che il male è entrato nella storia con la proprietà privata e con la crematistica che dissolvono le comunità nella lotta fratricida nelle famiglie, sul lavoro, nelle comunità e tra gli Stati. Con la crematistica l’uomo ha tolto all’altro uomo, si è tracciata una linea di divisione tra sfruttatori e sfruttati. Se si ripercorre la storia riemergono continuamente in forme embrionali o più evolute forme di comunismo che dovrebbero correggere il male nella storia. Il bene non è fuori della storia, ma è antico quanto l’essere umano, benché si declini storicamente. Il giudizio qualitativo sulla totalità si esplica con una pluralità di modi, esplicitarli consente di far riemergere dal silenzio della storia la condanna etica e politica allo sfruttamento e alla violenza che divide l’essere umano dai suoi simili incapsulandolo in una solitudine rabbiosa e dolorosa. La Bibbia nella Genesi fa iniziare la storia con il “mito” della mela. Eva tentata dal serpente (il desiderio dell’illimitato) rompe la legge dell’unità, ascolta il serpente che striscia dentro di lei, mangia la mela proibita e la offre ad Adamo. Sono mossi dal desiderio di possesso e di onnipotenza, consumato il peccato, aprirono gli occhi e si videro nudi: avevano perso l’innocenza ed inizia la storia come lotta di classe. La mela è la proprietà privata, allungare la mano, prenderla, staccarla dall’albero della conoscenza ha un duplice significato: la mela è consumata ed usata, perché è stata “conquistata-posseduta” con un gesto che frantuma l’armonia interiore e sociale.
Lontani dal Paradiso
Con la cacciata dal Paradiso (comunismo empatico) inizia la storia. La violenza proprietaria e acquisitiva è condannata dalla Bibbia, la Chiesa ha la funzione di contenere lo spirito rivoluzionario insito nella Bibbia. Quest’ultima ci restituisce il problema primo della storia, ovvero come ricomporre l’ingiustizia causa di tutti i mali: la proprietà privata. Gli occhi aperti del Cristo nei crocifissi medioevali ben rappresentano il terrore di colui che ha visto e conosciuto il male, ma guarda verso un altro mondo possibile. La redenzione è il superamento delle crudeli scissioni con cui i “sinedri” di ogni epoca dominano.
La Bibbia è condannata al pubblico silenzio, la si respinge senza conoscerla, in quanto il dominio organizzato con i suoi sicari culturali la “condanna” perché “patriarcale e maschilista”. Nel nostro tempo storico la parola “patriarcale” è il mezzo con cui innalzare preclusioni e rifiuti organizzati dalle istituzioni e dai media. La Bibbia è sconosciuta e si vuole che tale rimanga, perché è attraversata dalla sete di giustizia degli oppressi e dalla condanna senza appello per la proprietà. “Fuori i mercanti dal Tempio!” grida Gesù nei Vangeli canonici. La vita è indisponibile al commercio; gli esseri umani non sono “mezzi”, ma sono “sacri”, perché figli di un unico Dio. Il sostrato universale che unisce gli esseri umani, non consente la mercificazione.
Neutralizzando anche il simbolismo etico della Bibbia, il capitalismo, nella sua corsa distruttiva verso ogni forma di civiltà, attacca la sinistra comunista e il socialismo, i quali sono la risposta laica al problema eterno del male causato dalle logiche acquisitive e crematistiche. Il “niente assoluto” è cancellazione di ogni tradizione che permette di individuare il “male”. Civiltà della cecità etica, dunque, senza etica e giudizio qualitativo il male nella forma dello sfruttamento non trova opposizione e resistenza in coloro che lo subiscono fino a morirne nello spirito e nella carne.
Oltre l’ateismo del capitalismo
L’interpretazione di Massimo Bontempelli del mito biblico mostra la natura assiologica della natura umana, la quale è indissolubilmente legata alla conoscenza del bene, del male e della morte. La finitudine è condizione ontologica dell’essere umano storico, la finitudine consapevole è il fondamento della scelta etica:
“La verità che quel mito esprime e cela nella vicenda immaginaria della sua narrazione è dunque la connessione indissolubile, tra il suo destino di morte e la sua possibilità di comprendere il bene e il male[1]”.
La filosofia è dialettica del confronto e capacità di cogliere similitudini e differenze contestuali. L’uso dello “scandaglio” induce a cogliere le verità nascoste oltre ciò che appare. Tale atteggiamento è presente in Marx con le metafore tratte dalla Bibbia che esplicitano concetti e valutazioni qualitative del modo di produzione capitalistico. La pratica filosofica è ascolto che sa discernere l’eterno che si materializza in linguaggi e simboli da risemantizzare. Il testo di Enrique Dussel “Metafore teologiche di Marx”, ne è un esempio, Dussel studia Marx mediante il filtro delle metafore bibliche utilizzate dall’autore del “Capitale”. L’attività filosofica apre, in tal maniera, scenari di lettura della realtà attraverso simboli che possono sembrare distanti dalla realtà filosofica e politica, ma in realtà trattano di tematiche che accompagnano da sempre la tragica storia dell’essere umano. La filosofia deve annodare i ponti interrotti per far emergere le stratificazioni simboliche della verità ed elaborare percorsi comuni di critica. L’ateismo del capitale non tollera la filosofia e la religione, perché il capitalismo è la nuova e gelosa religione nichilistica del profitto e dello sfruttamento:
“La religione capitalistica è già dunque una forma di ateismo religioso, “ateismo” perché la teologia è trasformata in economia ed in tecnica, “religioso” perché questa trasformazione sancisce e consacra l’intrasformabilità del legame sociale, nelle nuove forme ideologiche flessibili del post-moderno, della fine della storia, eccetera[2]”.
Riattivare depositi di verità è resistenza al nichilismo che avanza mascherato con l’ideologia del progresso e dei diritti umani. Si bombarda in nome dei diritti umani, il male si maschera con le forme del bene, avanza mascherato, solo la filosofia può riportare la verità dove regna “la malvagità del bene”. Alla religione della menzogna bisogna opporre la verità eterna dell’umano che si storicizza in molte forme. Una onesta prassi ed analisi intellettuale deve indurci ad accostarci a tutto ciò che il modo di produzione marginalizza, perché lì è la verità dello stesso capitale. “Il niente assoluto” dev’essere guardato e attraversato con occhi aperti, malgrado il terrore che provoca tale visione. Il simbolico è il filo d’Arianna che conduce al concetto e alla progettualità dopo la visione del male. La malvagità del bene è solo una fase storica della storia del capitalismo, pertanto non è l’ultima parola della storia. Il niente assoluto dev’essere simbolizzato e concettualizzato, affinché diventi esperienza reale e razionale da cui trarre il tempo nuovo della progettualità.
[1] Massimo Bontempelli, La conoscenza del bene e del male, C.R.T. Pistoia, 1998 pag. 17
[2] Costanzo Preve, Gesù tra i dottori, PetitePlaisance Pistoia, pag. 82, 2019
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