di lorenzo merlo ekarrrt – 080722
Contro l’artiglieria della repressione delle idee, della censura, non abbiamo che cerbottane. Se fossimo un unico corpo, ci avrebbero già spazzati via. Essere sparpagliati è la nostra sopravvivenza. Con la pazienza e l’ascolto potremmo moltiplicare la nostra potenza. Noi sappiamo a cosa e come mirano. Loro non potranno eliminarci tutti.
“Se volete impegnarvi in battaglia, fingete di essere disordinati”
Sun Tzu (1).
Si sta ripetendo. Quelli della mia generazione avevano visto Martin Luther King e Nelson Mandela, ma la maggioranza non aveva incarnato che significava essere estromessi, essere considerati secondari, essere perseguitati, essere uccisi. La questione era etico-politico-ideologica, non empatico-sentimentale.
Ciò che sta accadendo ora, qui da noi in casa, ci spiega la differenza tra le due conoscenze e ci fa sentire nel corpo ciò che prima era un fatto intellettuale.
Naturalmente, per il momento, la censura che si sta verificando qui non è che una pallida ombra di quanto hanno dovuto subire i negri americani e sudafricani.
Ciò che sta accadendo qui ha qualcosa che assomiglia ad una vera lotta, forse più vera di quella sanguigna, in quanto più sottile e profonda. La capacità di attendere restando lucidi sarà forse una dote più importante di quella dei cannoni.
Le forze d’accerchiamento del regime sono avviluppanti. La quantità di armamenti d’ordine vario è dalla loro. Posseggono il reggimento più numeroso possibile, il popolo. Dispongono della sua inerzia, una qualità flaccida, difficile da spostare, eccellente nell’assorbire, elementare da farcire di pensieri e idee. Hanno le armi a ripetizione martellante migliori e in quantità soverchiante. Hanno alleanze con potentati più forti degli stati.
Dunque, oltre alle menti, anche le braccia, cioè la tv, la stampa, gli influenti, big tech.
La partita appare persa. Come dovevano sentirsi quei negri se non pieni di voglia di sottrarsi a tanta mortificazione? Come si sentono tutti gli uomini quando un bruto li mette all’angolo?
Ma la disperazione non è permessa. Avvicinerebbe la resa. È necessario resistere alla piega che ha preso il mondo. Una paziente attesa si impone affinché le risorse non vadano sprecate in vittimismo e TNT.
Il poco web che resta è una specie di vena d’oro, che si mostra soltanto a chi sa di aver concorso a trovarla, a darle forma. Tuttavia, è infiltrata di impurità. La mitragliatrice denigratoria spara inquinanti senza sosta su chi si pone domande e chiede risposte. E, siccome si può essere certi che chi dispone della forza la userà, le raffiche intorbidatrici non cesseranno di risuonare. Noi “i miserabili del web” (2) da ordinari individui, siamo divenuti di ordinaria eliminazione.
Possiamo essere certi, infatti, che gli apparati istituzional-privatizzati hanno investito e investiranno affinché manciate di gramigna vengano sparse tra e su noi, corpo ideale della nostra vena aurea. Un atto dovuto, affinché chiunque – per qualche dubbio sovvenuto o menzogna scoperta dell’ufficiale narrazione – sceso dal divano da dove si scorpacciava di Giannini, di Gruber, di Severgnigni, di Parenzo, di Mentana, di “vero giornalismo”, di “vera scienza”, di “vera democrazia”, non possa che restare disorientato.
Ma affinché anche quelli senza divano e senza tv si trovino di fronte al grande portale della realtà unica, sul cui timpano, a chiare lettere, leggeranno ancora il solo ritornello di quest’epoca malvagia: “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” (3) fino a dubitare di se stessi, fino ad accettare le pillole di bromurica libertà a punti. Un’altra loro arma di controllo di menti e di corpi.
Tutti abbiamo fatto l’esperienza che, operando sul piano razionale, si può anche arrivare ad ottenere un consenso da qualche fan della narrazione governativa della realtà, covidica, bellica o post-umanistica. Ma è un piano che non genera nelle persone una autentica capacità critica. Affinché ciò accada è necessaria una ricreazione personale, una motivazione profonda, un senso di sopruso subito, un interesse individuale. Se non scatta la scintilla, avremo ancora le medesime persone sotto incantesimo. Ci vuole un’emozione. Solo ponte su cui transitano i cambiamenti, le informazioni, le prese di coscienza. Pubblicitari, giornalisti, governativi e potentati lo sanno. Sanno come usare un’arma relazionale, come oltrepassare la barriera orwelliana così, apparentemente, insuperabile.
Solo con l’opportuna emozione ci si mette in moto. Diversamente, si capisce soltanto. L’intelletto non è il corpo. La comprensione cognitiva non è la ricreazione.
Tentare il proselitismo non serve. Esso si fonda sulla dimensione razionale, la più superficiale intelligenza tra quelle umane. E anche la più sopravvalutata e accreditata.
Senza ricreazione, l’amebica massa resta flaccida e senza mezzi per mutare se stessa. Mantiene le doti per fagocitare ogni corpo che le viene gettato addosso. È il suo cibo, della realtà divora tutto. Siano azioni incostituzionali, straccio dei diritti, imposizioni all’antrace, armi per ottenere la pace, eccetera.
Il menù che è in grado di digerire comporta un sussulto per ogni milite ignoto, per ogni Martin Luther King e Nelson Mandela, di qualunque colore essi siano esistiti. Comporta il Nobel sfregio della Pace a Barack Obama.
Non scomponiamoci dunque. La modalità dell’ascolto si impone, quella dell’affermazione è da tenere a bada. Sotto il ponte della sfibrante attesa passerà il momento utile per provocare emozione. Solo così quelli sul divano, tanto più alto da terra, quanto più fisso alla tv, troveranno il modo, da soli, di saltar giù, senza rischiare di rompersi l’osso della biografia. Perché è così che va quando ci si ricrea.
“Coloro che conoscono le condizioni del nemico sono certi di sottometterlo”
Sun Tzu (4).
Note
- Suz Tzu, Sun Pin, L’arte della guerra, Vicenza, Neri Pozza, 1999, p. 295.
- https://www.iltempo.it/esteri/2022/03/16/news/massimo-giannini-disinformazione-guerra-russia-ucraina-orrore-nascondere-miserabili-web-accuse-otto-e-mezzo-30859176/
- Orwell George, 1984, Milano, Mondadori, 1973, p. 39.
- Sun Tzu, L’arte della guerra, Milano, Bur, 1997, p. 102.