“Andiamo a mietere il grano, il grano, il grano/ Raccoglieremo l’amore, l’amore, l’amore/ E sentiremo il calore dei raggi del sole su di noi/ E tra le spighe dorate avrai la mia estate ed il mio cuor/ Quando la trebbia finita sarà e scenderà l’imbrunir /Nel casolare potremo tornar fino al ritorno del dì….Sotto un ciliegio baciato dal sol l’ombra potremo trovar“. Andiamo a mietere il grano (Louiselle,1965)
Sono molte le canzoni che celebrano la vita contadina sui campi, anche recenti come quella del giovanissimo Alessandro Filippi, anche se oggi la vendemmia non si fa più nei termini classici descritti in una memorabile pagina di Tolstoj. Ci sono le trebbiatrici meccaniche.
Le descrizioni della vita contadina sui campi sono forse, anzi senz’altro, troppo idilliache. “E sentiremo il calore dei raggi del sole su di noi” ma questi raggi a fine estate bruciano maledettamente e non ci sono molti ciliegi sotto cui ripararsi. “La terra è bassa” dicono, o dicevano, i contadini prima che il lavoro più pesante fosse affidato alle macchine . Eppure c’è una nostalgia – almeno l’ho io – per quella vita più semplice, comunitaria, quando finito il lavoro si andava a bere un sacrosanto bicchiere di vino nel casolare più vicino. Era una vita fatta anche di bettole, dove incontrarsi e riunirsi, molto diverse dai ristoranti di oggi o anche dai bed and breakfast che ne fanno semplicemente il verso.
Oggi non esistono più contadini propriamente detti e nemmeno la campagna avendola sacrificata al Dio cemento. Certo gli agricoltori sono ancora forti tanto da poter inscenare proteste, in Germania, Francia, Belgio per l’aumento del carburante o per i fitofarmaci. In Olanda hanno addirittura creato un partito, “Bbb”, che ha raccolto voti sufficienti per mandare in parlamento qualche deputato. Peraltro anche in Italia c’è stato qualche anno fa il movimento dei “forconi” poi abortito. Del resto in Polonia, Ungheria, Romania ci sono state forti proteste per l’arrivo di grandi quantità di frumento dall’Ucraina che deprezza il mercato interno. Ma tutte queste proteste stanno nella logica economica che domina il nostro tempo.
Nessuno si sogna di sognare un ritorno al passato. Io penso invece che ci sia bisogno di un “ritorno al futuro” . Non quello proclamato da tutte le istituzioni e da tutte le pubblicità (“l’automobile del futuro, il tuo futuro è già qua” eccetera) .
Dico questo perché a furia di rincorrere, sempre più velocemente, un futuro immaginario, ci siamo creati un presente troppo complesso, invivibile. Se noi guardiamo alle poche civiltà che sono rimaste ferme, le cosiddette “società statiche” o ai popoli che vivono ancora secondo natura, per dirla in tedesco i naturvolker, dobbiamo ammettere onestamente che vivevano meglio.
Tutte le istituzioni, da quelle pubbliche alle organizzazioni private e persino alle banche, parlano ipocritamente, con una sorta di mozione degli affetti, che serve a portare dalla propria parte le persone con poco cervello, del “futuro dei nostri figli” cioè dei nostri posteri. Ma io dico, con Oscar Wilde: “che cosa hanno fatto i posteri per noi?”
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