Anna Lombroso per il Simplicissimus
E’ la fede degli amanti come l’araba fenice, che ci sia ciascuno lo dice ove sia nessun lo sa..
E difatti è lecito dubitare della lealtà e degli atti di fede e contrizione di vedovelle e orfani di Draghi, prodighi di attestati di riconoscenza, stima, amore incondizionato che però nell’alacre dinamismo di questi giorni dedicato alle faccende di bottega, hanno pensato bene di collocarlo, sfuocato, sullo sfondo insieme alla teca con la sua agenda di “risposte pronte ai problemi che si presentano, come alla pandemia o nel centrare gli obiettivi del Pnrr“, come una divinità remota sia pure garante e nume tutelare in nome di quella governabilità che ha incarnato con ferocia da sicario, custode vigile dei “grandi temi”: energia, concorrenza, appalti, rinnovamento dell’amministrazione, giustizia, e, naturalmente il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza con i suoi 55 obiettivi da raggiungere alla fine del 2022 per poter accedere ai 19 miliardi di Euro.
Ma d’altra parte il più era fatto, il processo di definitiva consegna del Paese e una entità sovranazionale che aveva già assorbito competenze e sovranità, quei poteri stabiliti da una democrazia diventata sempre più formale e che doveva essere smantellata e demolita insieme ai principi di rappresentanza e partecipazione era ormai concluso, gli interventi “strutturali” pretesi per annetterci meritevolmente nel consesso regionale hanno mostrato il loro vero volto di controriforme recessive.
Perfino l’utilizzo degli stilemi del linguaggio progressista ha accompagnato in Italia il più imponente processo di dismissione del patrimonio e delle attività economiche pubbliche che l’intera Europa, compresa l’Inghilterra thatcheriana, avesse mai sperimentato in un periodo temporalmente tanto limitato, dimostrando proprio con quest’ultimo prodotto di pronto consumo, il piano di Ripresa e Resilienza, se solo noi anche tra i Pigs mediterranei siamo gli unici a aver scelto di accedere in tutte le sue offerte disgraziate proposte da un racket di estorsori, che ha rivelato senza ombra di dubbi di voler essere un gigantesco quanto complesso dispositivo di potere autoritario globale, che porta alla massima estensione e concentrazione della proprietà privata a scapito di quella pubblica, collocando il denaro, strumento indispensabile dell’attività di consumo e di accumulo, al centro dei nostri valori sociali e promuovendo il mercato come sola costituzione materiale e teocrazia.
Ne fa testo la scuola che non ha certo potuto sottrarsi a questi canoni tanto che i capitoli del Pnrrsulla scuola e la formazione hanno sancito come finalità unica quella della preparazione di mano d’opera, in cambio di sedicenti garanzie e sicurezze, secondo requisiti e criteri fissati dalle imprese da formati e confezionare allo scopo di adattarsi alle esigenze padronali e riconfermati qualora ve ne fosse bisogno, dai quasi 600 parametri individuati dell’Ue per accedere all’elemosina del Pnrr.
Altrettanto vale per l’Università: Draghi ha accolto le raccomandazioni confindustriali dando un ruolo egemonico ai cosiddetti “dottorati d’impresa”, interessate alla promozione di progetti e contenuti didattici al servizio esclusivo dei loro fini produttivi. Grazie a 300 milioni di euro di investimenti si sono previste borse per dottorati di ricerca nell’ambito del Piano, per la pubblica amministrazione, il patrimonio culturale, o dedicati alle transizioni digitali e ambientali ma soprattutto per master industriali per l’anno accademico 2022/2023, da avviare entro il 31 dicembre di quest’anno e declinate in 5.000 borse per dottorati innovativi “che rispondano ai fabbisogni delle imprese e promuovano l’assunzione dei ricercatori da parte di queste ultime, 1.200 per dottorati di ricerca rientranti, comunque, negli ambiti di interesse del Pnrr tra dottorati per la Pubblica Amministrazione, al patrimonio culturale e alle transizioni digitali e ambientali.
Eh si, la strada era tracciata, grazie al binomio Draghi-Bianchi che ha proseguito l’opera instancabile della dismissione dell’istruzione anche a governo decaduto: competenze esecutive a discapito del sapere e del pensiero critico, digitalizzazione coatta, apprendistato, consolidamento della famigerata alternanza scuola-lavoro tutto nel contesto di quei “patti territoriali di comunità” nei quali la Comunità alla faccia di Olivetti è retrocessa all’aziendalismo, al marketing, alla mercatizzazione in sostituzione della cittadinanza.
Lascerà il segno Bianchi, l’impronta velenosa della riforma del reclutamento del personale docente con l’istituzione finale del bravo maestro, il Docente Esperto, quello che con impegno economico di guadagna una promozione a punti sostenuta da quei dirigenti scolastici introdotti dalla Buona Scuola e incaricati di applicare le tecniche di marketing nell’azienda scolastica, attirando clientela, intervenendo negli scrutini per fidelizzare famiglie disposte a “investire” sulle carriere della progenie. In quella direzione va naturalmente anche la riforma degli Istituti Tecnici Superiori, che allarga la distanza tra licei di serie A addetti alla formazione della futura classe dirigente, e di serie B, con la missione di creare un ceto esecutivo, disposto a assolvere a compiti ripetitivi, privato di ogni senso critico e di identità professionale e culturale.
Ha ragione quella professoressa che ha scritto un appello accorato: aveva creduto di essere a buon titolo proprio lei la Docente Esperta, che aveva maturato in anni sapienza, competenza, professionalità, che aveva visto sfilare generazioni di allievi, li aveva ascoltati e accompagnati, convinta che fosse quello il vero insegnamento, e che scopre che invece il comandamento della religione del mercato impone di preparare capitale umano, obbediente, chiuso in un triste solipsismo davanti a tastiere, a interfaccia anonimi, dove, premendo un tasto si può anche essere incaricati di sganciare un bomba creando inevitabili effetti collaterali.
Eppure, eppure c’è stato un tempo nel quale in nostro Paese aveva assunto una leadership di lungimiranza e saggezza, come ricorda un prezioso volume intitolato appunto “Le mani sulla Scuola”. Nel 1955 Lucio Lombardo Radice, fondatore della “Riforma della Scuola” segna l’avvio di una “battaglia culturale, sociale e di costume” , si, con una rivista. Ma erano altri tempi, e una rivista chiamava intorno a sé quelli interessati a aprire le aule alle classi subalterne escluse, a ridefinire le discipline fondamentali a combinare sapere e coscienza di sé e dei propri bisogni e aspettative, a interrogarsi sui rapporti tra teoria e pratica e tra scienza e tecnica e sulle metodologie necessarie a misurarsi con la modernità e l’innovazione. Erano gli anni della progettualità di Donini e Luporini per un nuovo umanesimo finalizzato a realizzare perfino sul piano legislativo il mandato costituzionale.
Era stato un percorso accidentato e lungo fino agli anni ’70, con la liberalizzazione degli accessi all’Università, l’introduzione della attività integrative e il tempo pieno alle elementari, la definizione del nuovo stato giuridico del personale docente, la “libera espressione culturale nella determinazione dei diritti e dei doveri”, l’eliminazione delle classi differenziali per gli alunni svantaggiati e così via.
In questa campagna elettorale tossica sembra di parlare di piccole utopie, soffocate sul nascere da chi oggi ha prodotto questo establishment miserabile, sopportato senza resistenza dalle prime vittime corre, il corpo docente, tollerato da un’opinione pubblica privatizzata e corrotta dai miti dell’arrivismo e della competizione.
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