Questa mia riflessione trae spunto dal saggio di Carl Rhodes dal titolo “ Capitalismo Woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia”, pubblicato in Italia dalla Fazi Editore nel 2023. L’autore del saggio è professore di Teorie dell’organizzazione e preside della Business School presso l’Università di Sidney in Australia, pertanto ha un punto di osservazione molto interessante. Il saggio analizza  il riposizionamento delle grandi imprese rispetto a temi  sociali a ad istanze rivenienti da movimenti  politici e culturali progressisti se non addirittura, fatti passare, di sinistra.

L’autore sviluppa il proprio ragionamento partendo dalla genesi del concetto di “woke” e dal suo significato orginario per poi dimostrare come di tale concetto se ne sia appropriato il capitalismo neoliberale ribaltandone il senso in funzione del mercato e dell’occupazione della società con l’obiettivo di sostituire lo Stato. Di recente questo tema è stato affrontato sul quotidiano Avvenire dall’economista Stefano Zamagni[1] il quale scrive nel suo articolo << Non si deve dunque cadere nell’errore di pensare che il fenomeno “trusk”  ( Trump + Musk) sia una sorta di fulmine a ciel sereno, qualcosa di inatteso. Invero, nel corso dell’ultimo trentennio si è andata affermando, a partire dalla California, una duplice presa di posizione, tra i segmenti molto alti della scala sociale, nei confronti del modello di ordine sociale verso cui tendere il mondo occidentale (…)>>

Zamagni fa propria l’analisi di Carl Rhodes e individua i due estremi della questione. Da una parte quella di patriotic millionaires dall’altra il woke capitalismo. I primi chiedono ai governi  di aumentare la pressione fiscale a loro carico per finanziare il welfare state per poi essere lasciati liberi nella loro attività di imprenditori. Su questo punto la riflessione di Rhodes si differenzia. Per il capitalismo neoliberale per così dire conservatore è l’idea di interesse sociale che assume una diversa declinazione rispetto al woke capitalismo. L’idea guida è fondamentalmente quella di Milton Friedman, che Rhodes cita espressamente, per il quale l’interesse sociale è l’interesse dei soci dell’impresa, dei titolari dei fondi di investimento, ecc. Idea questa non solo di Friedman ma anche di altri esponenti della Scuola economica di Chicago, dell’economia  marginalista e della analisi economica del diritto come Richard Posner. Tale corrente di pensiero ha influenzato ad esempio il diritto del lavoro come provano i cambiamenti avvenuti a partire dagli anni 90 in poi quando l’interesse dell’impresa è diventato prevalente rispetto a quello della parte più debole ossia il lavoratore.  Di contro la componente progressista del capitalismo, ossia quello definito come  woke, sostiene l’idea che il mondo imprenditoriale debba occuparsi dei temi sociali operando a sostegno di movimenti di emancipazione individuale, del movimento LGBTQ+, ambientalista, #Me Too o semplicemente sostenere il welfare che non è più State ma dei finanziatori privati che operano attraverso associazioni più o meno senza scopo di lucro o anche attraverso l’introduzione del welfare aziendale che altro non è che una distribuzione di risorse finanziarie a favore delle imprese e del mondo della finanza. Intere campagne promozionali attente ad istanze sociali sono state sostenute, come riporta nel suo saggio Rhodes, da donazioni dei grandi magnati della finanza internazionale e dell’industria legata alle nuove tecnologie con lo scopo di promuovere la propria immagine pubblica. Rhodes per sviluppare la sua analisi prende le mosse, come accennavo, dalla genesi e dal significato del termine woke. Il termine trae origine dal gergo  afroamericano traducibile in “ stai attento” , “ stai all’erta” , il termine inizialmente è un invito a prestare attenzione rispetto a come il sistema capitalista opera per controllare le masse guidandole verso la conservazione del sistema invece che verso la sua riforma in senso democratico e sociale. Il termine woke è stato successivamente sdoganato <<ed è passato dall’indicare un appello politico all’autoconsapevolezza, attraverso la solidarietà di fronte a un’enorme ingiustizia razziale, all’essere un marcatore per identificare il moralismo. Che si tratti di interessi personali o aziendali, woke è diventato sinonimo di “tutto per me”>>. La diversa interpretazione del termine viene usata in senso negativo dal capitalismo conservatore legato all’idea di interesse sociale secondo la concezione di Friedman, dal versante opposto come strumento di marketing. Sono numerosi gli studi pubblicati dalla rivista Mico&Macro Marketing edita da il Mulino che hanno messo in evidenza come il lancio di un nuovo prodotto o semplicemente di un marchio, se legato a messaggi di interesse sociale, trovi maggiore accoglienza da parte dei consumatori. E’ pratica diffusa promuovere prodotti facendo leva su temi che con esso non hanno nulla a che vedere. Penso a pubblicità che legano la promozione del prodotto alla tutela di faune a rischio estinzione o, ad esempio, la pubblicità di una pasta legata ad istanze proprie del movimento LGBTQ+ o del movimento #MeToo.

Il capitalismo neoliberale e fenomeni sociali come quelli appena richiamati si alimentano a vicenda, favorendo la narrazione di una realtà completamente diversa da quella effettiva  puntando a dare una rappresentazione positiva del sistema capitalista quale difensore delle diversità. Il capitalismo woke, ossia attento al sociale, ha come scopo principale quello di individuare nuovi settori di mercato sui quali piazzare i propri prodotti o anche l’immagine del capitalista straricco come possono essere Bill Gates, Jeff Bezos, Elon Musk o Alan Zuckerberg. In aggiunta allo scopo commerciale c’è un fine strettamente politico che nulla ha a che vedere con la funzione sociale della proprietà privata richiamata dalla nostra Costituzione o con l’idea di impresa di Adriano Olivetti. Nel suo saggio lo stesso Rhodes, oltre ad evidenziare l’irrisorietà delle somme elargite per cause benefiche rispetto alla ricchezza posseduta da ciascuno dei sopra citati campioni del capitalismo, evidenzia che questa punta a dissimulare l’origine di tanta ricchezza. Come si può condividere o apprezzare Bill Gates quando a produrre il coltan, utile alla produzione dei cellulari che tutti noi utilizziamo sono  lavoratori minorenni sfruttati e massacrati? Come si può apprezzare un marchio come la Nike, marchio di articoli sportivi tra i più noti al mondo, quando anche i suoi prodotti sono il risultato di un orrendo sfruttamento di lavoro minorile?.

L’economista Stefano Zamagni, nell’articolo che ho citato precedentemente scrive a un certo punto che con la vittoria di “ Trusk” ( Trump + Musk) stiamo assistendo ad una <<ritirata degli investimenti sostenibili (Esg) annunciata da  Larry Fink, il patron di Black Rock ( il fondo che amministra un patrimonio che vale sei volte il Pil italiano!); la fuga di Meta ( Facebook, Instagram, Thread) dalle politiche a favore dell’inclusione e della difesa delle diversità; la dichiarazione di inizio anno di Peter Thiel rilasciata al Financial Times, secondo cui grazie all’arrivo di Trump alla Casa Bianca saranno svelati “ i segreti dell’ancien regime” >>. Tutti questi sono segnali di un conflitto tutto interno al capitalismo neoliberale che nulla hanno a che vedere con la difesa della Democrazia, dell’uguaglianza e di una maggiore giustizia sociale.

Zamagni si appella alla coscienza dei Cattolici. Il punto è che un tempo la paura della dannazione eterna o della scomunica del vescovo a quei ricchi che non si adoperavano attraverso l’elemosina a distribuire parte della ricchezza accumulata, produceva effetti su chi si professava cristiano. A partire dal XVII secolo con la rottura operata dalla Riforma protestante che ha prodotto l’individualismo politico ad opera di Lutero, (come spiega molto bene Gabriella Cotta, docente di filosofia politica a La Sapienza in un suo magnifico saggio dedicato al tema) e all’affermazione dell’individualismo economico ad opera di Calvino con la legittimazione dell’usura, è molto difficile che un Elon Musk o un  Bill Gates  possano avere qualche problema di coscienza secondo categorie etico – religiose che rinviano alla teologia economica e politica del gesuita Bergoglio. L’affermazione dell’individualismo proprietario ha ribaltato tra il 500 e il 600 i valori etici e religiosi che traevano origine dalla speculazione filosofica, teologica e giuridica tra il 200 e il 400, ribaltamento pari alla rivoluzione operata da Copernico determinando l’ascesa dell’ideologia Liberale e la sua egemonia fino alla metà del XIX secolo. La Rivoluzione industriale che dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda si è estesa all’intero continente europeo portando come conseguenza la lotta di classe e il progressivo passaggio, attraverso politiche riformiste, del sistema politico da Liberale a Democratico e addirittura sociale. A partire dalla controriforma operata dagli anni 70 il capitalismo è ritornato ad essere integralmente liberale con l’aggiunta della desinenza neo per distinguerlo dal Liberalismo contaminato da istanze democratiche se non addirittura socialiste. Il saggio di Rhodes fotografa egregiamente questo passaggio quando cita l’esperienza del governo conservatore guidato dalla Thatcher. Scrive Rhodes, riferendosi al discorso tenuto dalla Lady di Ferro a Blackpool subito dopo aver sconfitto i minatori inglesi in sciopero: << Al centro della sua visione di un Regno Unito innovativo c’era l’idea che il capitalismo, nella sua pratica e nella sua etica, non si deve limitare ai tradizionali detentori del capitale. Secondo i valori thatcheriani , tutti potevano e dovevano essere capitalisti. Idea questa che ha modificato dal punto di vista antropologico la Società occidentale con effetti devastanti come prova la crescente disuguaglianza e la concentrazione della ricchezza in un numero sempre più ridotto di persone. 

A partire dagli anni 80, quando all’orizzonte sembrava che la storia fosse finita, per dirla con Fukuyama, il capitalismo e le imprese cambiano strategia. Rhodes citando Harinam riporta << Diventare woke è una decisione strategica per placare quelli che, altrimenti, le distruggerebbero con tasse e boicottaggi. Come tale, il capitalismo woke è una sorta di conservazionismo aziendale. A livello fiscale è una sospensione dell’esecuzione capitale per fermare la scure della sinistra attivista che uccide i profitti (…) La sinistra attivista viene così placata e i clienti rassicurati circa l’impegno dell’azienda nei confronti della responsabilità sociale d’impresa>>. Rispetto a quanto sostegono Rhodes e Harinam ci sono due fenomeni molto interessanti: la crescita stratosferica delle retribuzione dei manager e la defiscalizzazione di risorse finanziarie destinate ad attività filantropiche. Concordando con Rhodes penso che la filantropia sia profondamente antidemocratica e << serve a rafforzare il potere e l’influenza dei protagonisti miliardari della società contemporanea>>.

Rhodes ipotizza una terza possibilità tra il capitalismo conservatore e quello woke  che passa attraverso il recupero del significato orginario di tale  termine ossia “stare attenti”, “stare all’erta”. Si tratta di essere consapevoli di ciò che il woke capitalismo è smascherandone l’ipocrisia che si nasconde dietro tale modello. Democrazia, uguaglianza sociale, equità, partecipazione  sono gli strumenti da utilizzare nella lotta politica contro il woke capitalismo. Servono in concreto cultura politica ed organizzazione degli interessi sociali a tale modello. La ricostruzione dello Stato Democratico e Sociale in aggiunta all’autonomia della Politica, aggiungo, sono gli obiettivi da perseguire.

[1] Stefano Zamagni. Perché i super ricch9i minacciano la nostra democrazia . Avvenire del 7 febbraio 2025

Gerardo Lisco

fonte:

Di basnews

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