Federico Giusti
L’Unione Europea, su esplicita richiesta statunitense, ha votato pochi giorni or sono tariffe daziali (per 5 anni) aggiuntive fino al 45% (prima dell’estate erano in vigore le barriere tradizionali al 10 %) sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina. Una mossa invisa ad alcune case produttrici che con la Cina, e non da ora, fanno affari. L’Unione europea è divisa, dieci i Paesi Ue, tra cui Italia e Francia, che hanno votato a favore di dazi aggiuntivi sulle auto elettriche cinesi, cinque invece i Paesi contrari, ossia la Germania e le nazioni dove l’indotto meccanico tedesco ha un peso rilevante, infine 12 gli astenuti inclusa la Spagna. La Commissione Europea ha il potere di imporre dazi, è sufficiente preventivamente avviare una mera consultazione tra i paesi membri avvalendosi della maggioranza qualificata ossia il voto favorevole di 15 membri dell’Ue che rappresentano il 65% della popolazione ed è proprio questa tipologia di maggioranza a rappresentare nell’immediato futuro una costante delle decisioni assunte in seno alla Comunità.
Questa scelta è ovviamente destinata ad accrescere le tensioni commerciali con Pechino ma ha il vantaggio di accontentare l’alleato Usa anche se mette in seria difficoltà la Germania che negli ultimi 20 anni ha trainato la Ue.
La Germania ha recentemente bloccato la vendita di Man Energy Solutions alla società cinese Csic che dipende da una grande azienda statale: la China State Shipbuilding Corporation. Questa scelta è dettata da ragioni di interesse nazionale, internazionale e di sicurezza interna. Ma è indubbio che nell’arco di un decennio la Germania abbia investito enormi risorse nel mercato cinese. Solo due anni fa una scelta del genere sarebbe stata impensabile, basti pensare ai rifornimenti cinesi di molte materie prime critiche, di input intermedi e semilavorati e di varia componentistica per l’energia rinnovabile. Di certo i dazi europei mettono in seria difficoltà la Germania e per questo hanno provato a scongiurare l’applicazione dei dazi aggiuntivi per non creare ulteriori frizioni con le proprie industrie che in estate hanno annunciato licenziamenti. Ma la svolta bellicista della Germania, il sostegno all’Ucraina e anche ad Israele sono oggi motivi sufficienti a rivedere le politiche di collaborazione con la Cina in una ottica capitalistica europea.
Ma torniamo all’Italia, già questo anno ci sono state 3000 uscite da Stellantis con incentivi, altre dovrebbero arrivare entro fine 2024. Tavares non esclude licenziamenti per scongiurare i quali chiede aiuto allo Stato italiano (ma un aiuto importante l’ha già ricevuto con anni di ammortizzatori sociali, di tasse non pagate e con la mega commessa arrivata dal Ministero della Difesa). Le dichiarazioni di Tavares sono comunque degne di nota sia rispetto al panorama nazionale che alle politiche della Ue, ripetuta la critica ai dazi ritenuti un errore auspicando che dalla Cina arrivino capitali e investimenti per le aziende di Stellantis in Europa. In altri termini per competere con i marchi tedeschi Stellantis spera nell’arrivo dei cinesi. Il capitalismo del vecchio continente prova a resistere a una doppia pressione, cinese e statunitense, i dazi tuttavia non allontaneranno gli investimenti dei costruttori cinesi disposti ad aprire stabilimenti nel vecchio continente evitando in questo modo di pagare sovrattasse.
In prospettiva Stellantis, visti i pessimi risultati di vendita dei loro prodotti, si candida a cooperare con le aziende cinesi mettendo a disposizione tecnologie e competenze, del resto un dieci per cento del mercato europeo in mano cinese equivale a un milione e mezzo di vetture, se queste dovessero passare dagli stabilimenti della multinazionale italo francese buona parte dei problemi attuali potrebbero dirsi risolti.
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