di Fabio Torriero
Grillo e le sue invenzioni, artistiche, politiche, ideologiche, resteranno un grande mistero per noi e per i nostri figli. Come per la vita di ogni capo carismatico, ci sono due versioni che lo possono definire, spiegare, comprendere: un folle, un genio, un visionario, un doppiogiochista, un eterodiretto.
Non basteranno libri e libri per poter decifrare il senso del suo parto allora con Casaleggio (il 2009), i 5Stelle; il senso del percorso che il Movimento ha fatto, relazioni tumultuose con i suoi delfini, successori (Conte), avversari interni (Di Battista) compresi; e il senso dei suoi appellativi auto-attribuiti: garante, elevato, guru, capo, tutor etc.
Quando i grillini entrarono trionfanti in Parlamento, sembrava l’era di una rivoluzione moralizzatrice a 360 gradi, destinata a stravolgere le modalità, le idee e le forme della Repubblica. Un “vaffa” portato nelle istituzioni, una Camera e un Senato destinati ad essere aperti come una scatola di tonno.
Invece, è storia nota, il Movimento si è trasformato nel migliore alleato dello status quo, della governabilità, formalmente alternativa, sostanzialmente continuista. Un Gattopardo versione informatica. Un Gattopardo liquido, alimentato da una piattaforma, che ha assunto via via i contenuti dei contenitori che lo hanno contenuto.
Con i leghisti, nel governo gialloverde, con il Pd nel governo giallorosso, con tutti nel governo dei migliori.
Una marcia a ritroso, rinnegando ogni battaglia identitaria per cui aveva ottenuto il 30% dei consensi: l’ennesima illusione per la gente.
Adesso, infatti, è lecito chiedersi in che misura Conte incarni una nuova fase o sia l’ennesima finta riproposizione di un populismo da salotto che vive e vegeta su un assistenzialismo alla Achille Lauro (le scarpe monarchiche, date prima e dopo il voto a Napoli): ossia, quel reddito di cittadinanza che ha portato i grillini ad essere il primo partito in Campania.
A dire il vero un certo sospetto si era diffuso subito, quando gli uomini di Grillo, appena eletti nel 2018, anziché omaggiare il parlamento andarono in visita dall’ambasciatore Usa a Roma. Quasi a rafforzare il sospetto che ogni populismo anti-corruzione in Italia serva unicamente ai poteri forti internazionali che lo preparano a tavolino, per demolire il sistema politico-economico italiano (si pensi a Tangentopoli).
Grillo stesso in qualche occasione si è lasciato sfuggire che se non ci fosse stato il Movimento, in Italia sarebbe tornato il fascismo, cioè una vera rivolta di popolo contro le istituzioni. Quindi, il Movimento, nel nome di uno storico e consolidato trasformismo, ha svolto unicamente una funzione non di rinnovamento radicale, ma di stabilizzazione del sistema, incanalando in una finta rivoluzione, una protesta che avrebbe potuto assumere dimensioni eversive e pericolose per la Repubblica.
E adesso, che senso ha quell’appello in salsa anni di piombo, alle Brigate per il Reddito, massa d’urto, strumento per operare illegalmente al servizio di una diversa comunità da costruire?
A parte, il lessico, che richiama un passato doloroso e divisivo, Grillo che razza di strategia ha in mente, proprio al risveglio da un sospetto e ambiguo silenzio, durato l’intera campagna elettorale?
Vuole di nuovo accendere le polveri, di fronte a una situazione magmatica come l’attuale, tra un’Italia che premia il sovranismo, ma un Palazzo che tenta il recupero con ministri graditi al Quirinale e a Bruxelles?
Vuole complicare la vita a Conte, che comunque, ha recuperato terreno rispetto alle previsioni apocalittiche?
Spara a raffica per poi normalizzare le istituzioni?
Vedremo. Se son rose s-fioriranno.
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