La sinistra perdente sul piano politico, elettorale, è riuscita almeno in due operazioni. Andare finora al governo, senza mandato popolare ed egemonizzare le parole (si legga egemonia culturale).
Ha partecipato a vari governi tecnici, di unità nazionale, di emergenza, compresi gli ultimi: l’esecutivo giallorosso (il Conte-2) e il governo Draghi, quello dei migliori.
Adesso sbraita per la sconfitta del 25 settembre e afferma come un disco rotto che l’attuale opposizione è maggioranza nel paese (e non in Aula), dimenticando che Azione e grillini hanno preso i voti contro il Pd; se si fossero presentati insieme, la somma aritmetica dei loro consensi sarebbe stata di gran lunga inferiore.
Diverso, invece, è il discorso delle parole; tradotto, il politicamente corretto. L’abbiamo già scritto: la scelta da parte della Meloni, di nominare presidenti di Camera e Senato, ossia un “fascista” (La Russa) e un “medioevale” (Fontana), ha rappresentato la smentita più forte a decenni e decenni di pensiero unico laicista, liberal, radical.
E pure alla prova dei fatti, dati i numeri delle urne, l’impostazione della stessa campagna elettorale dem, basata sull’asse “male-bene”, “amico-nemico”, si è rivelata un flop (esempio, il collegio di Sesto San Giovanni, dove la Rauti ha doppiato Fiano, simbolo dell’antifascismo e della repressione nazista per drammatica storia famigliare). E Letta e compagni, nemmeno si possono aggrappare alla mancanza di cultura e alla smemoratezza del popolo, visto che sono stati sempre loro a gestire università, mass-media, istituzioni, riviste culturali, enti ad hoc, fondazioni, scuola, libri di testo, premi letterari e carriere intellettuali.
La critica più serrata al nuovo governo, in attesa dei provvedimenti che sicuramente per l’opposizione saranno pessimi, è stata, appena conosciuta la squadra ministeriale, oltre allo scontato “basso profilo, il cambio di ragione sociale di molti ministeri.
Trasformazioni lessicali, secondo la declinazione del sovranismo. In soldoni, la risposta di destra al politicamente corretto.
Possibile che alla sinistra diano fastidio parole come “nazione” al posto di paese, “sovranità alimentare”, “sicurezza energetica” e non transizione energetica, “made in Italy”, “natalità”, “famiglia”, “merito”?
Se la presidenza della Repubblica ha fatto firmare i nuovi ministri, chiamandoli ancora secondo le dizioni passate, forse per ragioni procedurali, l’opposizione ha schiumato rabbia.
Evidentemente Letta, Conte, Calenda, Renzi e il 90% degli osservatori e dei commentatori ufficiali, non riescono a sopportare parole alternative alle loro; concetti che esprimono un’altra visione della società, dello Stato, dell’organizzazione sociale, della famiglia.
Certo, per loro à difficile. Per anni si sono attribuiti la rappresentanza del progresso, della modernità, della democrazia, dei diritti, dell’etica e della morale.
Si dovranno abituare alla rivoluzione culturale della destra, che ha cominciato a fare la destra, nella speranza che ovviamente, certe affermazioni e cambi di marcia diventino decisioni concrete.
Per la sinistra si tratta di nostalgia per il Ventennio, di ritorno all’autarchia mussoliniana, del trinomio “Dio-patria-Famiglia” che risorge. Per i cittadini che hanno votato centro-destra, al contrario, l’occasione di un diverso modo di essere comunità, patrioti, italiani in Europa e nel mondo.
Se una società non mette al centro le nascite e non la cultura di morte, la meritocrazia e non il livellamento verso il basso, la produzione e il lavoro italiano (ossia, la nostra eccellenza), muore. Insieme alla sinistra.
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