Vuoi vedere che le manfrine, le schermaglie, le risse quotidiane, interne ed esterne agli schieramenti e alla maggioranza, porteranno a un Draghi-2?
Tutti i notisti, i commentatori, gli addetti ai lavori, gli stessi politici, naturalmente evitano scenari e scommesse sicure, ma la sensazione che si ha è proprio questa.
Il premier, senza un suo partito, privo di legittimazione popolare, solo con la benedizione e la regia del capo dello Stato Sergio Mattarella, finora ha già ottenuto parecchio. Qualcuno la chiama rivoluzione di sistema o addirittura regime. Solo col Dna del suo esecutivo ha costituzionalizzato i partiti. La grande ammucchiata non inganni. Va molto oltre il fritto misto per garantire unicamente stabilità alle istituzioni. Va molto oltre la mera gestione del Recovery o dell’emergenza pandemica (si vede pure dai vari temi che Palazzo Chigi sta affrontando e che esulano dal concetto di semplice governo tecnico dei migliori).
Draghi ha “mandato al centro” i partiti italiani, vuoi elevando a rango di ministri i suoi amici personali, vuoi indirizzando destra e sinistra a un percorso moderato obbligato.
Ha diviso il centro-destra, dato per vincente, numeri e sondaggi alla mano, alle prossime politiche, al punto che ora Fi e Lega stanno da una parte (destra di governo) e Fdi sta all’opposizione, in netta crescita, ma destinato ad un eterno “effetto Le Pen”.
La Lega e Fi hanno ridotto i loro consensi, la stagione populista e sovranista è alle porte. La Lega sta per trasformarsi in una sorta di Dc2.0, popolare, liberale ed europeista; il disegno è di Giorgetti, guarda caso amico personale e sodale di Draghi.
Gli azzurri sono già centristi da decenni, solo che tale luogo geografico ora è molto affollato: convivono rissosi in cerca di un mastice e di un federatore (appunto Super-Mario), ex dc, neo-centristi e convertiti sulla via di Damasco.
Draghi non avrà un suo partito, ma ha costruito di fatto un’area draghiana da giocarsi in ogni direzione.
Al centro-sinistra convivono da antagonisti Calenda e Renzi. I due, alle recenti amministrative, si sono distinti per operazioni spavalde, disinvolte, solo apparentemente caotiche, insensate, ma in verità con uno scopo ben preciso: sparigliare i poli ufficiali e dimostrare al Pd che senza loro, anche in ragione del tramonto grillino, non si vince.
L’operazione-Insieme per il Futuro, l’hanno capito pure i bambini, l’ha favorita Draghi. Dividere un partito pericoloso (che non ha più la maggioranza parlamentare), che non offre garanzie, né fedeltà, indebolirlo per renderlo più addomesticabile, era un imperativo categorico. Un campetto quello grillino che andando a vedere i programmi non presenta comunque, opzioni eversive. Sia il Movimento guidato da Conte, sia quello di Di Maio, si definiscono liberali, progressisti, laicisti, europeisti ed ecologisti (sono due partiti-Recovery).
Il Pd, dal canto suo, è il partito specchio di Draghi: la bandiera dello status quo economico e sociale, del pensiero unico vaccinista, filo-Usa, filo-Bruxelles; è il partito dei primi, dei garantiti.
E se si va al voto, la certezza è che non vinca realmente nessuno. Un elemento che porterà sparati a un ennesimo governo di Larghe Intese, con la promessa da parte del Quirinale di riprendere il discorso presidenziale o un posto aureo all’Onu (data l’amicizia con Biden).
In fondo Draghi ha già commissariato la politica, cosa ci vorrà per ripetere il ciclo? Tanto gli italiani non reagiscono. E così passeremo da un’emergenza all’altra. Sempre con lo stesso direttorio.
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