Netanyahu accetta la proposta Usa, che è poi la sua, perché sa che è inaccettabile per Hamas, che infatti l’ha già rifiutata…
Da qualche giorno si susseguono articoli speranzosi sui negoziati di Gaza. Agli appelli drammatici del Segretario di Stato Tony Blinken sul fatto che questa potrebbe essere l’ultima possibilità per un accordo è seguito un sospiro di sollievo perché alla fine anche Netanyahu si è convinto e, dopo mesi in cui ha allegramente sabotato le intese, avrebbe accettato finalmente il piano americano. Ora che l’ostacolo Netanyahu è stato superato, la palla passa ad Hamas, riferiscono i media d’Occidente. Ma davvero è così?
Riportiamo da Antiwar: “Dopo l’incontro con il Segretario di Stato Anthony Blinken a Gerusalemme lunedì, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rilasciato una dichiarazione in cui sostiene la nuova proposta per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi a Gaza avanzata dagli Stati Uniti, che comprende le condizioni poste del leader israeliano e non prevede una tregua permanente”.
“‘Il primo ministro ha ribadito l’impegno di Israele nei confronti dell’attuale proposta americana sul rilascio dei nostri ostaggi e tiene conto delle esigenze di sicurezza di Israele, sulle quali insiste fermamente’, ha affermato l’ufficio di Netanyahu in una nota”.
Netanyahu accetta, ma…
“Secondo The Times of Israel – citato ancora da Antiwar – è la prima volta che Netanyahu ha pubblicamente sostenuto la proposta degli Stati Uniti […]. Hamas ha respinto la proposta il giorno precedente a causa delle condizioni che sono state aggiunte [dall’ultima intesa proposta dagli Usa, con il placet israeliano, del maggio scorso, ndr]. Alcuni alti funzionari israeliani riferiscono ad Axios che Netanyahu ha deciso di accettare la proposta degli Stati Uniti solo perché sapeva che Hamas non l’avrebbe accettata“.
“In una dichiarazione rilasciata domenica, Hamas ha affermato che la proposta degli Stati Uniti non prevedeva un cessate il fuoco permanente e il ritiro israeliano da Gaza. Il movimento ha aggiunto che la proposta degli Stati Uniti avrebbe garantito a Israele il controllo del confine tra Gaza e Egitto, noto come Corridoio di Filadelfia, e del Corridoio di Netzarim, un’area che separa la parte settentrionale di Gaza dal resto della Striscia”.
Inoltre, come accennato, non prevede il ritiro da Gaza, ma solo una riduzione delle truppe: particolare talmente aleatorio che può voler dire tutto e niente. Si ricordi, ad esempio, come l’inviato Usa in Siria si sia vantato di aver ingannato addirittura i suoi superiori e il presidente, allora era Trump, che aveva ordinato il ritiro delle truppe dal Paese, manipolando i numeri dei soldati ritirati.
Quanto all’allungamento dei tempi della tregua, nella prospettiva che diventi permanente, se ne parlerà solo nella fase Due degli accordi, dopo la liberazione degli ostaggi. Ma Hamas è chiamato a sottostare a condizioni talmente stringenti perché il negoziato si prolunghi, che per Netanyahu sarà gioco facile riprendere la macelleria.
Insomma, anche se Hamas ancora non ha rigettato ufficialmente la proposta, ma solo ufficiosamente, è davvero arduo che accetti. Quanto all’amministrazione Usa, il forcing attuale non nasce certo da ragioni umanitarie, quanto da motivi elettorali: Washington vorrebbe arrivare alle elezioni con la tregua in tasca, per evitare di perdere i voti di quanti contestano la politica riguardante Israele (per inciso, nel programma della Harris nulla si dice di un eventuale embargo sulle armi a Israele nel caso prosegua la mattanza).
Prendere tempo per ripulire la Striscia
In attesa di una risposta di Hamas – che potrebbe stupire, come accaduto a luglio, quando accettò le profferte Usa, ma è davvero difficile – appare significativo quanto scrive il quotidiano al Akbar, riportato da al Manar.
Anzitutto, secondo il media arabo, i negoziati avrebbero come obiettivo quello di imporre un nuovo status quo a Gaza, che come prima fase prevede di “liquidare i leader e i quadri della resistenza palestinese e rendere la Striscia di Gaza invivibile per i palestinesi e spingerli a lasciare l’enclave“.
Alla fine della pulizia etnica, anche se non sarà completa (qualche esemplare rimarrà…), continua al Akhbar, la Striscia verrebbe data in gestione a palestinesi che godono della fiducia di Tel Aviv. A tale scopo, le forze israeliane stanno liquidando tutte le personalità di Gaza che ritengono ostili o non controllabili per far largo, in futuro, a figure gradite. Mentre, in Cisgiordania, le forze di Sicurezza di Fatah, coordinandosi con Tel Aviv, starebbero addestrando gazawi ostili ad Hamas per farne i loro ascari nella Gaza post bellica.
Alla gestione e alla ricostruzione successiva della Striscia – sempre se e quando si farà – saranno chiamati i Paesi arabi con in testa gli Emirati e con l’esclusione di Turchia e Qatar, ritenuti poco affidabili. Si prevede anche il coinvolgimento di qualche Agenzia dell’Onu.
Dunque, resta questa strana proposta di accordo, ma soprattutto l’orrore che non ha fine: oltre 40mila le vittime, di cui 16.400 bambini. Numero al quale vanno aggiunti i 10mila sepolti sotto le macerie: cifre che potrebbero essere rimpinguate dopo una recente scoperta.
Molte vittime di Gaza, denunciano le autorità della Striscia, sono state trafugate dall’esercito israeliano: oltre 8mila, secondo le stime. Denuncia che si aggiunge a quella sul trafugamento dei cadaveri dai cimiteri, dai quali mancherebbero 2.210 cadaveri già sepolti. L’espediente serve ad abbassare il numero delle vittime.