Una marea rossobruna sta sommergendo la Francia. La geografia politica transalpina esce infatti sconvolta dal secondo turno delle elezioni legislative. Perde Macron. Vincono sia l’estrema destra di Marine Le Pen sia l’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon.
Se non è un terremoto, ci siamo vicinissimi. Perché un simile risultato viene nel tempo del pensiero unico liberal-liberista. Il tempo dei poteri forti finanziarti che continuano dettare legge. Il tempo delle algide eurocrazie che continuano a pretendere la penitenza dei popoli. Il tempo, come se non bastasse, della cappa atlantista sul pensiero libero europeo, quando parlare male della Nato rasenta il reato e quando l’egemonismo Usa sull’Europa produce ulteriori devastazioni nella già disastrata economia continentale.
A questo sistema di potere gli elettori francesi dicono no. Ma vediamo la composizione dell’Assemblea nazionale (il Parlamento francese) ridisegnata dalla voglia di cambiamento dell’elettorato. Il partito di Macron, Ensemble!, ottiene 236 seggi, un centinaio in meno di quelli che aveva. Ma, fatto più rilevante, il presidente perde la maggioranza assoluta in Parlamento, che è di 289 seggi.
Il botto lo fa la formazione di Mélenchon, Nupes, che porta 130 deputati all’Assemblea e diventa il secondo partito rappresentato in Parlamento. Un risultato inimmaginabile fino a poco tempo fa.
Il vero exploit però è di Marine Le Pen, che ottiene 89 seggi, decuplicando i parlamentari: ne aveva 8. Per il Rassemblement national è un risultato storico. Le pur ragguardevoli percentuali ottenute dalla destra in Francia non si erano mai tradotte finora in una significativa rappresentanza in Parlamento. Puntuale, al secondo turno, arrivava la tagliola dell’«unità antifascista» e il Fn, predecessore di Rn, risultava regolarmente isolato. Oggi questo “cordone sanitario” è saltato e per la Le Pen si aprono prospettive interessanti nelle istituzioni e nella società francesi.
Il primo a tremare è ovviamente il presidente Macron. La sconfitta che ha rimediato è bruciante. Cinque anni di sovraesposizione mediatica, nazionale e mondiale, non gli sono serviti a granché. Il suo tentativo di presentare l’ideologia tecnocratica in salsa populista è fallito. Né ha sfondato il suo europeismo alle meringhe. Ora “monsieur le president” dovrà scendere a compromessi per racimolare una maggioranza all’Assemblea. E per un “egoarca” come lui l’impresa si preannuncia ardua.
Ma a tremare sono anche le tecnocrazie europee. E qualche pensierino dovrebbe venire in particolare a Mario Draghi, che ha stretto con Macron una sorta di gemellaggio politico. In ogni caso, il dato preoccupante per Bruxelles e dintorni è che la protesta politica scaturita dal disagio sociale sta rompendo gli argini in Europa. Il dato francese è rivelatore di una marea che può montare ovunque. Non a caso parliamo di una delle società più avanzate dell’Occidente e della seconda economia dell’Ue.
Evocare il rossobrunismo è improprio? È una forzatura? Le teste d’uovo dell’establishment si mettano il cuore in pace. Perché sia Mélenchon sia la Le Pen si oppongono alle politiche neoliberiste che sono state egemoni nel vecchio continente negli ultimi decenni. Entrambi hanno una posizione critica verso l’Ue. Più spiccata nella leader di Rassemblement national, più sfumata nell’esponente della sinistra, ma comunque significativa: Mélenchon propugna la revisione dei Trattati Ue, perché a suo giudizio tali accordi ֿ«bloccano» la società francese. E, “last but not least”, entrambi sono tutt’altro che favorevoli alla politica filo Usa delle cancellerie europee a proposito della guerra in Ucraina.
Ma l’«indicibile» vicinanza tra Rn e Nuples risulta anche dai flussi elettorali. Un misterioso e sotterraneo sistema di vasi comunicanti collega le due formazioni. Se sale l’uno scende l’altro e viceversa. Al primo turno delle presidenziali, Marine ottenne il 23,15 per cento dei voti e Jean-Luc il 21,9. Viceversa, al primo turno delle legislative, in vantaggio è stato Mélenchon, che ha ottenuto il 25,7 a fronte del 18,7 della Le Pen. Ma la somma delle percentuali è pressoché la stessa: siamo sempre intorno al 45%. Singolare no?
Poi si può certo dire che i due elettorati non sono facilmente “sommabili” tra loro. Però un canale, diciamo “carsico”, comunque esiste. Non a caso il leader della sinistra è stato “costretto” a dire ai suoi elettori di non votare per la Le Pen al ballottaggio per le presidenziali. Mentre la sua posizione rimase molto più sfumata e ambigua nelle presidenziali del 2017. E per questo fu fortemente criticato.
Interessante è comunque l’analisi sociologica dei due elettorati. Se il voto per Rn è prevalentemente concentrato tra i ceti medi della provincia, quello per Nupes proviene prevalentemente dai giovani precari o professionalizzati delle città. Questo significa che le basi sociali della protesta si stanno allargando di pari passo con l’erosione di ceti medi e dei quelli operai, un processo di crisi che sia il Covid sia la guerra hanno ulteriormente accentuato. Ma questo significa anche che le ragioni del sovranismo sono trasversali e discendono dall’impoverimento generalizzato della società avvenuto con l’avanzata della globalizzazione e con l’affermazione di un modello economico a forte trazione finanziaria.
A questo punto, una domanda è d’obbligo: questo vento di Francia arriverà in Italia? È probabile. Magari però non nelle stesse forme. Nel senso che il mastice del vecchio bipolarismo centrodestra-centrosinistra ancora riesce a “imprigionare” una parte consistente di elettorato, al netto del fatto che l’immaginifico “campo largo” ha oggi sostituito il concetto di “centrosinistra”. E si tratta della classica contrapposizione tra “voti-contro”: mi reco alle urne, non tanto per affermare qualcosa ma per fermare qualcuno, il solito “nemico della civiltà” che assume fattezze diverse di generazione in generazione.
Però si tratta di un gioco che comincia a funzionare sempre meno, come dimostrato clamorosamente dalle ultime elezioni amministrative, nelle quali ha votato il 40 per cento degli aventi diritto. È probabile che una parte consistente quel 60% di non votanti sia in attesa di un nuovo soggetto politico, un partito che ancora non c’è. Ma che prima o poi ci sarà, quando le “eresie” si saranno diffuse e avranno mandato in pezzi le vecchie griglie di un bipolarismo nato stanco e sempre vissuto tra lo scetticismo dei più.
Queste eresie, stanno già dilagando tra l’elettorato francese, che sta di fatto disegnando un nuovo tipo di bipolarismo, destinato a valicare i confini della Francia. È il bipolarismo tra tecnocrazia e politica, tra globalismo e anti-globalismo, tra élite e popolo. Il bipolorismo, soprattutto, tra potere incolore e democrazia colorata, colorata di rossobruno. Appunto.
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