di Aldo Di Lello

Dalla prima mattina di lunedì 11 aprile, un brivido corre per le cancellerie europee. Dal primo turno delle elezioni presidenziali in Francia è partita l’onda del dissenso contro il sistema tecnocratico Ue. Sommando i voti dei sovranisti di destra (Marine Le Pen ed Eric Zemmour) con i voti dei populisti di sinistra (Jean-Luc Mélenchon) si supera infatti il 60 per cento.

Per le élite europee è un campanello d’allarme. Perché significa che la normalizzazione decisa a Bruxelles, Berlino, Parigi e Roma incontra seri ostacoli anche in un Paese guida come la Francia e anche in una fase di mobilitazione dell’opinione pubblica come questa, una fase segnata, come è tristemente noto, dalla guerra in Ucraina e dalla criminalizzazione di ogni dissenso verso l’atlantismo di ferro imposto dai vertici politici e mediatici.

Poi si può certo obiettare che l’elettorato di Le Pen e Zemmour, da una parte, e l’elettorato di Mélenchon, dall’altra, sono tra loro assai diversi e, per tale motivo, non facilmente sommabili.

Però i motivi d’allarme per l’establishment francese ed europeo rimangono tutti e ciò per un semplicissimo motivo: rispetto a cinque anni fa, le basi del consenso potenziale per Macron  in vista del secondo turno sono decisamente ridotte. Questo dato emerge con chiarezza se si prova a confrontare i risultati del primo turno del 2017 con quelli di oggi. La somma allora dei voti di Macron (24,01 %), Repubblicani (20,01) Socialisti (6,36) portava a superare, anche se di poco, il 50%. E ciò rappresentò  la dote iniziale per il giovane leader di En Marche per effetto della mobilitazione di tutti contro la Le Pen. Tant’è che al secondo turno Macron prese il 66,01.

Oggi invece la dote di Macron ammonta appena al 37% . Al 27,6 per cento ottenutodalla lista del presidente bisogna infatti sommare i voti di Repubblicani (4,8) e Verdi (4,6). I socialisti sono praticamente scomparsi.

Il vantaggio di partenza sulla Le Pen s’è notevolmente ridotto. Perché Marine può aggiungere al suo 23,4 % il 7 ottenuto da Zemmour , il quale  si è addirittura presentato più a destra della candidata del Rassemblement National e tra i due elettorati c’è una naturale convergenza.

Ma, al di là dei numeri, c’è un dato qualitativo di notevole importanza. E consiste nel fatto che la restrizione del consenso potenziale per Macron ha cause profonde e strutturali. Queste cause derivano dalla lontananza tra élite e popolo che s’è accentuata proprio negli ultimi cinque anni. E vale la pena ricordare che il dissenso esplose già nel 2018, con la rivolta dei gilet gialli. Macron sconta l’aumento del malessere nella società francese. S’è illuso che la sua sovraesposizione internazionale (per effetto della guerra in Ucraina) potesse giovargli e non ha praticamente (e sprezzantemente) fatto campagna elettorale. Non ha capito che, nel cuore dei francesi, non c’è l’atlantismo ma ci sono  le preoccupazioni per la perdita del potere d’acquisto dei salari e per l’impoverimento delle classi medie. A queste preoccupazioni s’è aggiunta anche la minaccia d’aumento dell’età pensionabile, che sta creando grande nervosismo tra i lavoratori.

Marine Le Pen ha capito invece che occorreva interpretare il crescente disagio dei francesi e ha, intelligentemente, posto l’accento, in campagna elettorale, non sui tradizionali temi identitari ma sui temi sociali. In questa operazione, la sua proposta è andata inevitabilmente ad avvicinarsi a quella di Mélenchon , il quale ha anch’egli cercato di interpretare il disagio dei più poveri e degli sfavoriti dalla globalizzazione. Non solo, ma, con la Le Pen, il leader dei populisti di sinistra condivide anche il giudizio critico verso la Nato e l’atlantismo.

L’elettorato di Mélenchon, che ammonta al 21,9 per cento, risulta quindi strategico in vista del secondo turno. E, visto il suo carattere anti-sistema, appare difficile che possa dirigersi verso la riconferma dell’attuale presidente. Al momento è impossibile fare previsioni. Di certo, agli occhi di questa massa elettorale, Emmanuel Macron non risulta affatto più simpatetico rispetto a  Marine Le Pen.

Il presidente resta certo il favorito nelle previsioni. Ma per lui non sarà comunque una passeggiata vincere al secondo turno. Le variabili sono decisamente maggiori rispetto a cinque anni fa. E l’esito della sfida si potrebbe essere deciso per pochi voti. In ogni caso, l’establishment francese avrà il problema di governare una Francia decisamente spostata verso le aree del dissenso.

E poi, chissà, alla Le Pen potrebbe riuscire anche il colpaccio. Se andasse così, la vita dell’Europa subirebbe davvero una svolta. Storica.

Fonte:

Di BasNews

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