di lorenzo merlo
Sguardo d’insieme sull’arco percorso dalla presunta emancipazione femminile. Volevano giustamente rispetto e parità. Non hanno ottenuto il primo, se non nel politicamente corretto. La parità non si è realizzata, se non formalmente a mezzo di incarichi e mestieri prima riservati ai maschi. Si salvi chi può.
Mi impressiona aver creduto nella favola delle donne quali nature che avrebbero potuto cambiare la storia di sangue, oppressione, controllo e vergona cui oggi assistiamo forse come mai prima d’ora. L’accelerazione e la caduta di umanesimo insito nella idolatrata tecnologia digitale, ha rotto le acque e partorito un cambio di paradigma mortifero, in cui le donne sono tragicamente protagoniste.
Avevo infatti creduto che il senso della maternità, cioè dell’avere in sé ed esprimere il significato universale della creazione – una dote complementare ma, in qualche modo, ben più profonda di quella maschile e seminale – non sarebbe mai venuto meno. La prima, quella femminile a carattere universale, o capace di tenere il legame con il cosmo, l’altra, quella mascolina, prevalentemente a proiezione secolare. Una fondata sull’amore e da questo governata, l’altra sulla supremazia nei confronti del prossimo, in tutte le sue forme.
Nelle donne viveva il senso protettivo della vita, fisicamente e simbolicamente riflessi sul neonato, sul bimbo, sul ragazzino, e anche sull’uomo, la cui indole vanesia gli nega spesso la piena maturità, ovvero il senso del sacrificio e del dono.
Viveva in esse anche il principio dell’ascolto, necessariamente coniugato ad una maieutica capace di favorire la quiete e quindi la libera espressione del prossimo. Una specie di bullismo al rovescio. C’era in esse la consapevolezza che accettare comporta bellezza e favorisce relazioni senza sofferenza e altamente taumaturgiche.
Non si tratta di un’idealizzazione della donna, ammesso che si possa parlare della realtà senza in qualche misura renderla idea, cioè un’entità senza sbavature. Ho conosciuto, esperito, vissuto il calore di una carezza e il suo potere guaritore, nonché quello di uno schiaffo, e il suo potere di generare rancore e soprattutto di perpetuarlo. Una conteneva epifania d’umanità, l’altro, separazione e barriere.
Mi impressiona osservare che la caduca ideologia liberista e il fascino del potere hanno dimostrato di possedere una forza superiore a quella immortale del femminino. Credevo che le donne avrebbero avuto in sé quella forza che non avrebbe mai spento in esse il senso profondo della vita. Pensavo che solo loro avrebbero cambiato il mondo. Osservare il loro non sospettato adeguamento al modello maschile e marziale, ha il carattere del dolore infernale. Ora spadroneggiano, come i loro i maestri maschi hanno ben insegnato loro.
Avverto tutto ciò come un tradimento che ferisce l’umanità intera, che annienta una parte di questa e ne favorisce l’altra. L’amore sostituito dal ragionamento e dalla strategia. Tra tutti i segni della fatiscenza dell’antico caravanserraglio europeo-occidentale, quello della rinnegazione del proprio ruolo e della misconoscenza di se stesse è forse tra i più tragici ai quali stiamo assistendo.
Un tradimento che esse elevano a valore e, buco nero energetico, a diritto. Così, le donne al potere non realizzano nelle loro politiche alcuna scelta che veicoli prospettive alternative a quelle perseguite dai maschi. Quelle sotto il vertice e, fino alla base della piramide, ne sono educate. L’apparire nel loro piccolo ambito, è il loro scopo, anche a scapito delle fondamenta di loro stesse e dei loro poteri naturali. Non portano più il messaggio materno. Sono fotocopie perfettamente riuscite dei loro opposti uomini. Vestire un’uniforme vale oggi di più che prendersi cura di una famiglia.
L’adeguamento alle direttive transumaniste non è costato loro alcuno sforzo. Con naturalezza, hanno accettato di vedere l’ideologia imposta dai padroni, mettere da parte la natura, le tradizioni, le identità, i costumi. Hanno abbracciato le leggi e buttato la conoscenza che era in loro. Ora dispongono di platee e possono finalmente dettare l’ordine del giorno. Ogni volta ne sento il dolore.
Nella corsa all’emancipazione fasulla, di facciata, le fotocopie, dopo aver gioito per poter guidare un cingolato, per poter andare in prima linea, per avere ottenuto che i piatti li lavi qualcun altro, dopo avere tralasciato di coltivare tutte le arti femminili delle tradizioni, relegato l’educazione famigliare per il diritto di andare a lavorare, essersi prestate alla gestazioni di feti di cui non sarebbero state madri perché buttandoli non urlano o perché già venduti, sono ora accondiscendentemente mute e coautrici della disumana rivoluzione di costumi, opportunamente messa in campo dagli stessi autori delle rivoluzioni colorate.
La loro carriera è sostanzialmente all’inizio. Temo, oltre a quanto hanno già dimostrato di saper fare, che ne vedremo di ancor più belle. La vanità della fotocopia vorrà essere superiore a quella dell’originale.
Credevo nelle donne, ora ne ho paura come di un demone assetato di rivalsa.