Nel proporvi il mio personale percorso attraverso ciò che più ho trovato significativo nella musica jazz, non posso non ricordare la figura gigantesca di Egberto Gismonti, benché il suo sia un suono contaminato al massimo grado e che nasce dallo studio della classica. La cifra poetica di questo musicista è infatti la contaminazione tra i generi (etnica, jazz, musica popolare, rock, etc.) che confluiscono in lui in una totale armonia, cosa questa che rende la conoscenza del suo mondo imprescindibile tanto per i semplici appassionati quanto per i musicisti: il suono di Pat Metheny sarà di molto debitore, per ammissione dello stesso Metheny, a Gismonti.
Egberto Gismonti nasce a Carmo, Rio De Janeiro, nel 1947 ed incomincia a suonare il piano a sei anni. A ventuno si trasferisce a Parigi, dove è allievo tra gli altri anche di Schoenberg. Tornerà però in Brasile, dove trascorrerà molto tempo presso gli Indios Xingu` ed imparerà ad usare il loro flauto. Dagli anni settanta si dedica allo studio della chitarra (a dieci corde) contaminando il suono di Django Reinhardt con quello di J.Endrix e sviluppando uno statuto artistico nel quale non vi sarà mai frattura tra musica colta e musica popolare. Nel 1969 il suo primo album “Egberto Gismonti” e dal 1977 incomincia la collaborazione che dura ancora oggi con la ECM di Manfred Eicher. Sono sessanta gli album di cui è autore ed in cui collabora con artisti come Jan Garbarek, Charlie Haden, Nana` Vasconcelos, tra di essi val la pena ricordare “Sol do Meio Dia” del 78, “Sanfona” dell’80, che amo particolarmente, ma anche “Alma” dell’ 86 e “Danca dos Escravos” dell’ 89. Scriverà per il teatro e la televisione affascinando ed influenzando autori come il già citato Metheny ed il nostro Ivano Fossati. Nella musica di Egberto Gismonti una sensibilità occidentale si mescola a suggestioni amazzoniche in un inedito candore arcaico. Gismonti è un intellettuale che padroneggia più linguaggi e si serve di una soprendente capacità improvvisativa alternando in uno stesso brano sezioni classiche, che con tutta evidenza risentono della lezione di Schoenberg e sezioni più ispirate alla musica etnica o jazz o rock senza che si avverta alcuna soluzione di continuità e non ponendo limiti alla esplorazione, in lui sempre assolutamente libera. Gismonti con la sua musica ci parla della solitudine dell’uomo occidentale, ma al contempo sembra offrigli una via d’uscita, una soluzione salvifica nella cultura più corale, meno alienata dell’America Latina. Sua la frase :”Faccio musica solo per far felice l’altro: la musica serve solo a questo ” anche se personalmente sono convinta che con la sua opera Gismonti sia stato in grado di veicolare ben più di uno stato d’animo quale la felicità. La libertà espressiva, la profonda e pura autenticità del suo messaggio, l’attenzione a tutte le culture, il dialogo con la natura, sono elementi che restituiscono all’uomo una sua dimensione che non ha piu bisogno di inutili e pericolose sofisticazioni o estremismi per affermare sé stesso e che arrivano con assoluta chiarezza a quanti ascoltano la musica di questo eccezionale artista.
Rosamaria Fumarola