Fabrizio Marchi
A parte la scontata e fin troppo stucchevole faziosità che non vale neanche la pena commentare, il servizio andato in onda ieri sera su La 7 nella trasmissione condotta da Mentana dedicato all’attacco di Hamas del 7 ottobre dello scorso anno, ha comunque segnalato che alcune soldatesse israeliane di guardia nei bunker (muniti ovviamente di monitor, telecamere di sorveglianza e altri strumenti tecnologici) nei pressi del muro fortificato che cinge la Striscia di Gaza, diversi giorni prima dell’attacco avevano notato e segnalato ai loro superiori movimenti “strani” e insoliti di palestinesi. Segnalazioni che però sono state ignorate e lasciate cadere dalle autorità militari competenti.
E’ peraltro ormai appurato che i servizi segreti egiziani avevano avvertito quelli israeliani alcuni giorni prima che qualcosa stava bollendo in pentola, per usare una metafora. A ciò si deve aggiungere che i miliziani palestinesi hanno potuto (o sono stati lasciati liberi di ?…) imperversare per ore nei kibbutz e nei centri abitati israeliani (e anche al rave party nel deserto) e che gli attacchi sono stati numerosi lungo tutto il confine orientale della Striscia di Gaza. Il tutto in un fazzoletto di terra; è bene ricordare che Israele è poco più piccolo della Lombardia. Gli elicotteri da combattimento di cui Israele dispone (nonché le forze speciali opportunamente preavvisate) potevano arrivare in loco dopo pochi minuti dall’inizio dell’operazione, e invece sono intervenuti solo ore più tardi.
Tutta questa serie di elementi mi portano a confermare quanto ho già detto e scritto nei giorni scorsi. E cioè che ritengo irrealistico che il servizio segreto israeliano fosse completamente all’oscuro di una operazione che era in preparazione come minimo da mesi se non da anni e ritengo altresì irrealistico che i miliziani palestinesi abbiano potuto operare pressoché indisturbati per un così lungo lasso di tempo e su un’area così ampia (in relazione al territorio..) dopo essere penetrati in territorio israeliano da più parti.
Si dice che tre indizi fanno una prova. Questo mi pare senz’altro uno di quei casi. Credo realisticamente che l’attacco della resistenza palestinese sia stato lasciato fare per una serie di ragioni politiche e geopolitiche (ed economiche). Vediamole.
In seguito al più poderoso attacco mai subìto da parte della resistenza palestinese dal 1948 ad oggi, Israele ha potuto sferrare la più devastante aggressione contro i palestinesi. L’attacco palestinese ha infatti creato le condizioni per la suddetta distruttiva aggressione, camuffata mediaticamente come “diritto alla difesa e alla sicurezza”. Poco importa se dopo alcune settimane era del tutto evidente che si era di fronte ad una carneficina di massa (da sempre nei desiderata di una larga parte della società israeliana, soprattutto della destra religiosa fondamentalista ma non solo…). Del resto Israele se ne è sempre infischiato dell’opinione pubblica internazionale, serviva un casus belli e l’hanno trovato. Punto.
La strategia, se così vogliamo definirla, israeliana, è molto semplice. Cacciare definitivamente i palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania, annettersi una parte del Libano meridionale, annichilire sia Hamas che Hezbollah e tendenzialmente mettere in ginocchio l’Iran, magari trascinandolo in una guerra dove gli USA sarebbero necessariamente costretti ad intervenire.
Ma c’è dell’altro, molto dell’altro. In Medioriente si sta giocando una partita enorme, di natura economica, commerciale e geopolitica. E questa partita ha un nome e un cognome e si chiama “Via del Cotone”, cioè l’alternativa occidentale (a guida americana, ovviamente) alla “Via della Seta” cinese. Il progetto prevede la costruzione di una di una rotta commerciale e di una rete di infrastrutture (porti, ferrovie, ecc. che in larga parte già esistono) dall’India agli Emirati fino ad arrivare nel Mediterraneo e naturalmente in Europa, tagliando completamente fuori l’Iran. Come dicevo, la Via del Cotone è la risposta occidentale all’espansione commerciale della Cina nell’area mediorientale, avvenuta contestualmente ad un lungo lavoro diplomatico-politico di tessitura di rapporti e relazioni che aveva portato addirittura ad un riavvicinamento fra i due storici antagonisti del Vicino e Medio Oriente, cioè l’Iran e l’Arabia Saudita.
Questo processo andava stoppato, costi quel che costi, e in casi come questi non si va tanto per il sottile. La strategia è quella di riportare l’area mediorientale, tuttora di importanza strategica per varie ragioni, sotto il controllo occidentale (leggi israelo-americano) e per fare questo è necessario serrare i ranghi e riportare all’ordine i paesi da sempre amici e quelli che in seguito al processo multipolare hanno cominciato a guardarsi intorno e a scegliere altri partner commerciali non graditi. E tutto ciò, arrivati a questo punto, data la debolezza economica che sta vivendo il blocco angloamericano, può essere realizzato solo con una soluzione militare che preveda la distruzione di tutte le forze ostili, e quindi in primis dei movimenti di liberazione nazionale quali Hezbollah e Hamas considerati alla stregua di organizzazioni terroriste e, naturalmente, l’isolamento e la messa fuori gioco dell’Iran. In altre parole, Israele sta facendo il lavoro sporco per tutto l’Occidente ma anche per le classi dirigenti dei paesi arabi cosiddetti “moderati” (quella di Israele isolato e accerchiato da un concerto di stati e nazioni ostili è una leggenda metropolitana alimentata ad arte per ovvie ragioni) e questo spiega – servilismo delle classi dirigenti europee e mediorientali a parte – la totale passività e inerzia e di fatto la connivenza dei governi europei di fronte al macello in corso a Gaza e alla palese violazione del diritto internazionale da parte di Tel Aviv.
Naturalmente questo è il piano ma i conti non si fanno mai senza l’oste. L’Iran ha un’alleanza di ferro, anche di natura militare, con la Russia e, in parte, per la proprietà transitiva, anche con la Cina. Una sconfitta e un eventuale “regime change” in Iran costituirebbero una sconfitta strategica di enorme portata sia per la Russia che per la Cina. Inoltre, non credo affatto che Israele sarà in grado di eradicare sia Hezbollah che Hamas.
Una cosa è certa: se l’analisi è corretta la strategia degli USA non cambierà di una virgola in Medioriente, indipendentemente dall’esito delle prossime elezioni presidenziali. Cambierebbero soltanto i toni e gli atteggiamenti in caso di vittoria dell’uno o dell’altra contendente. La Harris farebbe finta di dolersi per il martirio del popolo palestinese e libanese, mentre Trump spingerebbe apertamente per la soluzione finale.
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