di Giacomo Gabellini per l’AntiDiplomatico
Lo scorso 23 maggio, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato il decreto 442, che incarica il neo-insediato governo di Mosca di adottare entro quattro mesi misure volte a istituire una procedura speciale per il risarcimento dei danni arrecati alla Federazione Russa e alla Bank of Russia – identificati come “titolari dei diritti russi” – dalla confisca ingiustificata dei beni sovrani russi negli Stati Uniti, in relazione a decisioni assunte da organi statali e/o autorità giudiziarie statunitensi.
Più specificamente, il decreto autorizza i “titolari dei diritti russi” i cui beni sono oggetto di confisca negli Stati Uniti a rivolgersi ai tribunali nazionali per presentare relativa richiesta di risarcimento, attraverso un apposito documento comprensivo di una valutazione del danno subito. Qualora i tribunali chiamati ad esprimersi accertino l’insussistenza delle ragioni addotte dalle autorità statunitensi per procedere alla confisca dei beni russi, la Commissione Governativa preposta dovrà trasmettere ai rispettivi organi giudiziari un elenco speciale (Property List for Compensation) dei beni di proprietà statunitensi e riconducibili a “individui legati agli Stati Uniti” che possono essere confiscati e trasferiti sotto forma di indennizzo e in base al criterio della proporzionalità ai soggetti colpiti da provvedimenti di confisca negli Stati Uniti. La lista può quindi includere qualsiasi bene (mobili, immobili, titoli, partecipazioni societarie, ecc.) di proprietà di persone o entità sia pubbliche che private connesse agli Stati Uniti, comprese le filiali russe delle imprese multinazionali statunitensi.
Una linea d’azione, quella definita dal decreto 442, che Mosca aveva già intrapreso con il sequestro, disposto poche settimane fa da un tribunale, di beni, conti, proprietà e azioni di Deutsche Bank e Commerzbank in Russia. I due istituti di credito erano garanti di un contratto per la realizzazione in territorio russo di un impianto di trattamento del gas vanificato dalle sanzioni occidentali. RusChemAlliance, società russa coinvolta nel progetto patrocinato da Gazprom, ha quindi adito le vie legali e ottenuto dal tribunale arbitrale di San Pietroburgo il sequestro di titoli, conti e immobili riconducibili a Deutsche Bank per un ammontare complessivo pari a quasi 240 milioni di euro. Commerzbank ha invece subito il sequestro di beni, titoli ed immobili per un controvalore di circa 95 milioni di euro. Un provvedimento sostanzialmente analogo è stato adottato in una causa parallela nei confronti di UniCredit, di cui un tribunale russo ha ordinato il sequestro di beni, conti, immobili e azioni di due società controllate per un controvalore di oltre 460 milioni di euro a causa dell’interruzione di un progetto sul gas che coinvolgeva la banca italiana.
Le iniziative russe erano largamente prevedibili, visto e considerato che, come pubblicamente rilevato dall’ex presidente Dmitrij Medvedev lo scorso aprile, l’interesse del Cremlino si sarebbe concentrato sui beni privati riconducibili agli Stati uniti, vista la sostanziale inconsistenza delle proprietà pubbliche statunitensi detenute dalla Russia. Del resto, i beni appartenenti a investitori provenienti da Paesi definiti come “ostili” dal Cremlino ranno riferimento fin dal tardo inverno del 2022 a conti speciali (di tipo C) che impediscono qualsiasi trasferimento di denaro al di fuori della Russia in assenza di autorizzazione da parte delle autorità di Mosca.
La Russia è quindi passata alla controffensiva, e ha sciolto ogni remora al riguardo sulla scia dell’approvazione, da parte del Congresso Usa, di una legge che consente all’amministrazione Biden di confiscare i beni russi detenuti presso istituti statunitensi e trasferirli in Ucraina. E in concomitanza con le discussioni intavolate dai leader del G-7 circa la possibilità di destinare gli “straordinari” proventi finanziari generati dai beni russi sottoposti a sequestro allo sforzo militare sostenuto da Kiev e alla ricostruzione post-bellica dell’Ucraina. Un orientamento, quello assunto dalle classi politiche statunitense, canadese, europea e giapponese, fattosi strada in seguito allo stallo delle trattative inerenti il progetto originario, che mirava stabilire un meccanismo di impiego a beneficio dell’Ucraina degli oltre 300 miliardi di dollari di beni russi sequestrati nel marzo 2022 – 200 dei quali si trova in territorio europeo.Allo stato attuale, si evince dalla recente delibera del Consiglio Europeo l’Unione Europea si prepara a riciclare i rendimenti prodotti dagli asset sequestrati alla Russia in funzione di sostegno militare all’Ucraina. Nel dettaglio, si legge in una nota diramata dal Consiglio, le entrate straordinarie maturate dai beni russi presso l’Unione Europea saranno investite per supportare militarmente Kiev (90% del totale) e ricostruire l’Ucraina (10% del totale) attraverso l’European Peace Facility. Ci troviamo di fronte, osserva «Analisi Difesa», all’«ennesima follia, anche in termini giuridici, che non farà vincere la guerra a Kiev, determinerà forti reazioni a Mosca (questa volta nessuno finga di stupirsi o di indignarsi per la nazionalizzazione di altri asset italiani in Russia) ma soprattutto farà perdere la faccia all’Europa davanti a tutti gli investitori internazionali. C’è una nazione (o fondo-sovrano) pronta a investire ancora in una UE che domani potrebbe sanzionarla congelandone i beni per le ragioni più varie (dalla guerra contro un vicino all’adozione di leggi “che non corrispondono ai nostri valori”), prendere i frutti dei beni congelati e consegnarli ai loro nemici? Il precedente attuato oggi con la Russia rischia di seppellire la credibilità economica e finanziaria dell’Europa (quella politica è già stata tumulata da tempo) con il rischio di pesanti ripercussioni soprattutto nella percezione che avranno di noi i grandi investitori asiatici (arabi, cinesi, indiani….)».
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