Che il mondo sia cambiato è ormai evidente a tutti: la risposta di Teheran all’attacco israeliano contro la sua ambasciata di Damasco non si è fatta attendere ed è stata complessa, portata come vedremo su diversi piani, ma soprattutto è stata una risposta venuta nonostante le dure minacce congiunte di Israele e degli Usa. Ancora una volta dopo l’Ucraina la sfida è stata accettata e la ex superpotenza americana si è persino rivolta alla Cina, alla Turchia e all’Arabia Saudita chiedendo loro di convincere l’Iran a non rispondere al bombardamento illegale di Israele, dimostrando in questo modo di non avere più le redini della situazione e di navigare a vista senza piano B in nessuna situazione.
D’altra parte la reazione iraniana è stata complessa, qualcosa di molto più sofisticato rispetto a ciò che sono in grado di fare gli americani, gli occidentali o i suprematisti di Tel Aviv. Da una parte abbiamo una risposta simbolica portata con uno sciame di droni tra i più lenti a disposizione dell’Iran e quindi facilmente abbattibili anche da un sistema di difesa aerea poco efficace come Iron Dome. Alcuni di loro hanno comunque colpito alcune postazioni militari. Il loro compito era solo dimostrativo nei confronti della popolazione israeliana senza l’intenzione di nuocere davvero, ma con quella di essere di monito e di dare comunque al governo di Tel Aviv, ma anche a quello di Washington una scappatoia per dire di avere sconfitto l’ assalto di Teheran. Inoltre la salva di droni ha esaurito le difese aeree di Israele che ora è molto più vulnerabile. Dall’altra parte abbiamo invece il lancio di missili balistici multi testata, usati per la prima volta dall’Iran che sono stati “consegnati” con precisione sulle basi aeree di Ramon e di Hatzerim ( quest’ultima è quella da dove sono partiti gli aerei per il raid su Damasco) provocando numerosi danni e la distruzione di un certo numero di aerei e di elicotteri che rimane imprecisato, ma che secondo gli iraniani sarebbe di 11 caccia (F16, ma forse anche F35) e 9 elicotteri Apache. Da Israele non una parola, ma trattandosi di installazioni militari si può conservare il segreto e non elencare le perdite qualora queste siano imbarazzanti.
La terza risposta è stato il sequestro della nave portacontainer MSC Aries vicino allo Stretto di Hormuz. La nave è gestita da Zodiac Maritime, una società di proprietà del miliardario israeliano Eyal Ofer e la sua cattura da parte di una squadra iraniana trasportata da un elicottero, è chiaramente un avvertimento agli Stati Uniti e ai loro alleati del Golfo di non pensare ad un attacco sull’Iran, perché una chiusura dello Stretto di Hormuz, che è nella piena possibilità di Teheran come risposta a un assalto sul proprio territorio, aumenterebbe i prezzi globali del petrolio e quantomeno metterebbe a repentaglio la rielezione di Biden, visto che in questa eclissi della ragione non bastano le pietose condizioni mentali dell’uomo per sostituirlo.
Certo dall’Occidente si alzerà una grande canea, perché quando sono loro a bombardare tutto va bene, ma non tollerano di essere a loro volta bombardati. Però ho proprio l’impressione che questa volta abbaieranno e basta, magari facendo il doppio gioco come accade per la Francia che da una parte manda un reparto della legione straniera in Ucraina e poi firma un contratto per il raddoppio della fornitura di gas naturale liquefatto russo, dando a Mosca i soldi per far fuori molte centinaia di volte i duecento fantaccini della republique, ma tutti rigorosamente non francesi. Del resto Parigi è riuscita a fare una figuraccia anche con gli Houti nel Mar Rosso, vista che una fregata francese ha dovuto scappare perché aveva sparato tutte le munizioni in 12 attacchi venuti dallo Yemen non riuscendo a neutralizzare la base da dove arrivavano droni e razzi.
Biden dal canto suo ha già avvisato che non appoggerà un contrattacco contro l’Iran, visto che Israele afferma di aver abbattuto tutti droni. Un effetto che Teheran ha contribuito consapevolmente a creare. Naturalmente tutti sanno che il raid ha impegnato solo una piccolissima parte degli arsenali iraniani, ma l’importante è di non farlo sapere in giro.
E tuttavia c’è un perdente sicuro in questa storia: ora un miliardo e mezzo di mussulmani guardano all’Iran che ha osato sfidare l’egemone per difendere i palestinesi, mentre la Turchia di Erdogan si è segnalata per la sua assenza e per la sua timidezza. Il Sultano che voleva essere un punto di riferimento quanto meno per i mussulmani del Medio Oriente, si è rivelato una tigre di carta, un uomo incerto la cui parola è inaffidabile.
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