di lorenzo merlo ekarrrt – 231121
La cultura materialista ha soffocato le dimensioni umane considerate inutili alla conoscenza.
La tradizione ermetica, attraverso il suo brocardo così in alto come in basso, vuole esprimere che quanto accade nel mondo fisico è un riflesso di quello metafisico, sottile, esoterico.
Da entrambe le dimensioni possiamo osservare, riconoscere ed esperire gli elementi, le entità, le forze che compongono tanto la storia e le sue forme, quanto l’universale, l’eterno, l’assoluto.
È un discorso inaccessibile a chi risiede, per ideologia o per carenza di consapevolezza, nel piano razionalist-positivista e material-meccanicista. Un territorio che, come tutti gli altri, genera le sue verità. Tra queste, la negazione che altro ci sia oltre alla materia. La quale, a sua volta, è separabile e scomponibile fino alle più piccole parti. Fino a non riconoscere il significato per comprendere mali e speranze, caratteri e condizioni. Solo ciò che essa è in grado di riconoscere e misurare diviene vero, insieme di verità impilate in babeliche librerie, fitte di nomi e categorie. La persistenza di questo ordine delle cose ha pervaso la cultura e le menti, la creatività e il pensiero degli uomini che la condividono per inconsapevole adesione allo scientismo, nonché per maturato convincimento. Non a caso, la mitizzazione della tecnologia, quale reale progresso dell’uomo, ne sancisce la potenza, il significato, le politiche. E anche il soffocamento della vita profonda che anima i suoi serial, inarrendevoli killer. Basta chiedere loro cosa sia la coscienza per la scienza o da cosa dipenda il loro innamoramento per piantare il discorso su fondali inesplorati.
Il potere assoluto del razionalismo infarcisce mente e pensiero e intelligenza, impone una lettura inopportuna del linguaggio emozionale, comprime l’umano entro contenitori finiti, ontologicamente inadatti alla conoscenza. Esserne consapevoli torna utile all’ecologia individuale e sociale.
La presenza nelle nostre coscienze di quanto non è misurabile, dell’assoluto, dell’infinito, del mistero o di dio permette di dare verità al motto alchemico, nonché di riscontralo in tutto il fare degli uomini.
Uno dei fare riguarda il principio che nel nostro pensiero esiste il mondo o che il mondo esiste solo nel nostro pensiero. Non solo. Che la loro reciprocità ne è la prova più tangibile, sebbene il fornire prove non sia tra gli argomenti evolutivi dell’uomo. La visione persistente di se stessi, investiti di un certo ruolo, è una forza che tende effettivamente a realizzare quello scopo di sé sempre immaginato e ad alimentarlo una volta considerato raggiunto. Così, a qualunque campione umano con prestazioni sopra la media, si potrà trovare una continuità di allenamento di tutte gli elementi necessari allo scopo del primato.
Motivazione permettendo, l’allenamento mantiene e migliora lo standard del nostro fare. È una verità biologica, che possiamo riscontrare anche attraverso l’osservazione del comportamento del corpo di un essere vivente, in particolare dei mammiferi, con facilità nell’uomo. Purché non considerato alla stregua di una macchina.
Il contatto con un virus nocivo è per il corpo un’informazione, tanto sottile quanto materiale, che mette in essere una reazione delle sue strutture atte a renderlo innocuo. Sottile, in quanto il corpo viene informato dell’esistenza di un aspetto della vita. Materiale, perché la sua azione chiama in causa quegli elementi che, a mezzo della tecnologia, nominiamo, collochiamo e classifichiamo.
Il medesimo contatto indotto da un vaccino, medesimo non è.
Informare, insegnare, formare qualcuno in merito a proprie esperienze e convinzioni, non è come ricrearle. La differenza di stabilità delle due modalità si può esprimere in intellettuale per la prima e incarnato per la seconda. L’esperienza non è trasmissibile, indurla a suon di inoculazioni – di qualunque genere si voglia – fa il pari con l’esportazione della democrazia.
Nella nostra cultura, la modalità intellettuale è ordinaria, nella quale capire pare sia il massimo possibile. Scimmiottare ne costituisce il risultato pragmatico. È un procedere che pone al centro il concetto e lascia l’uomo ai margini, per poi riporlo al centro solo per giudicarlo in funzione della sua dimostrazione di replica del concetto stesso. Il suo valore è quindi relativo alla capacità di replicare senza variazione.
Il medesimo concetto, se ricreato, ovvero, se esperito come culmine di una certa prospettiva effettivamente percorsa, implica la disponibilità di poterlo impiegare in tutte le sue innumerevoli occasioni secondo la condizione creativa del momento.
Ne deriva che senza esperienza diretta non abbiamo la possibilità di aggiornare l’identità anche nella sua dimensione biologica del Dna e delle sue relative espressioni fisiche.
Dunque, il corpo fa conoscenza di un surrogato del virus, e ne risente la resistenza della vita stessa. A questo argomento i materialisti reagiscono celebrando il valore della vita individuale. Non hanno modo di cogliere come stanno indebolendo la specie a favore di un suo campione.