di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico
La reazione a caldo alla notizia dei droni sul Cremlino è stata di stupore per l’apparente (a prima vista) inefficacia dei sistemi di difesa aerea russi sulla capitale, immediatamente seguita dal ricordo di quanto accaduto nel 1987 con l’atterraggio di Mathias Rust sul Declivio Vasil’evskij, alle spalle della cattedrale di San Basilio. Ma queste sono state, appunto, le prime reazioni incontrollate, lampeggiate nella testa di un anziano osservatore; oltretutto, all’epoca si era in “guerra fredda”, mentre oggi la guerra è molto calda e diventa ogni giorno più incandescente. Tanto incandescente che l’ex direttore di Roskosmos, Dmitrij Rogozin (di altre reazioni, più avanti) ha proposto di ricorrere ad armi nucleari tattiche: tanto per dire.
Quantunque, se il volo dell’allora giovane tedesco, certamente sponsorizzato ad alti livelli atlantici, servì poi alla dirigenza della perestrojka per diversi “aggiustamenti” interni, anche oggi non sono mancate in Russia, soprattutto tra le frange di popolazione un po’ più “fredde” nei confronti del Cremlino, ipotesi di intrighi e lotte intestine ai vertici del paese, rimandi alla serie di attentati che sconvolsero la capitale all’epoca delle guerre cecene e in parte attribuiti ai Servizi russi, ecc.
Tra l’altro, la coincidenza tra il lancio dei droni e l’assenza di Vladimir Putin dal Cremlino, un certo retroterra a simili fantasie lo forniscono: un attacco simile, portato direttamente alla residenza istituzionale del Capo dello stato, è impensabile senza il benestare e, soprattutto, il supporto tecnico ddal Potomac (i Servizi russi ne hanno le prove) sulle cui sponde è improbabile che restino sconosciuti i movimenti del leader del Paese contro cui si sono sguinzagliate le squadracce naziste.
Naturalmente, a livello di dichiarazioni di addetti stampa e fughe di notizie semi-anonime, gli USA negano il sostegno diretto ai metodi terroristici ucraini, chiosa Oleg Karpovic su “Komsomol’skaja Pravda”; ma i fatti parlano da soli: senza un cenno di approvazione da parte dei Servizi yankee, tali attacchi difficilmente possono aver luogo.
Tra i russi, c’è poi chi ipotizza un lancio di droni da distanze ben più vicine a Mosca che non dal territorio ucraino, frutto di azioni o di raggruppamenti terroristici, oppure, ancora una volta, di qualche “circolo interno” che intenda in questo modo stimolare il Cremlino a “ritmi” di guerra più decisi, rispetto a quelli seguiti nei quasi 450 giorni passati dal 24 febbraio 2022. E, anche in questo caso, la “base” di tale considerazione, può ripescarsi nelle ripetute punzecchiature di Evgenij Prigožin per la condotta di guerra dell’esercito: ancora due giorni fa, il capo della “Wagner” diceva di ritenere che «l’offensiva dell’esercito ucraino sia già iniziata», constatando un’altissima «attività dell’aviazione nemica… lungo il perimetro e all’interno del nostro fronte. E se all’interno del nostro fronte noi siamo in grado di controllare, lungo il perimetro, purtroppo, la situazione appare, per così dire, non delle migliori. E perciò alla domanda su quanto siano sicuri i nostri fianchi, per il momento taccio, per educazione».
Ma si tratta, in definitiva, di elucubrazioni in cui il comune mortale si esercita, ogniqualvolta è preso da un “sentire” non esattamente in linea col fervore “patriottico” che, a dire il vero, il Cremlino stesso non ha fatto granché per ispirare, a parte i richiami generali, che sembrano risuonare più per “bandiera” che non per esortare davvero la popolazione a sentirsi partecipe a uno sforzo collettivo, in una situazione che rischia di degenerare irreparabilmente ogni giorno che passa.
Insomma, quel che è certo, è che l’Ucraina abbia cominciato a fare la guerra sul serio, «a differenza della Russia», scrive Mikhail Ošerov sull’agenzia “REX”, convenendo che l’attesa controffensiva ucraina sia già iniziata e constatando come, negli ultimi giorni, droni ucraini abbiano attaccato varie infrastrutture critiche russe: una base petrolifera a Sebastopoli, una raffineria nel Territorio di Krasnodar, basi petrolifere in Donbass, mentre sabotatori ucraini minavano una linea ferrovia nella regione di Brjansk e terroristi filo-ucraini facevano saltare un pilone della linea elettrica nella regione di Leningrado.
Tutti obiettivi non militari, ma infrastrutturali, la cui messa fuori uso causa al nemico molti più danni. L’Ucraina, osserva Ošerov, sta ora facendo ciò che la Russia non ha fatto in un anno, perdendo così l’iniziativa, nell’attesa di una controffensiva ucraina, invece di portare avanti la propria offensiva. L’Ucraina tenta di infliggere il massimo danno a varie infrastrutture in territorio russo, mentre la Russia sembra salvaguardare, come fossero proprie, strutture simili ucraine: impianti energetici, ponti sul Dnepr, raffinerie, gasdotti ecc. Proprio la passività russa, l’incomprensibile ritrosia della leadership politico-militare russa a fare la guerra sul serio, mobilitare la popolazione, distruggere impianti energetici, ponti, provoca la crescente fiducia in se stessa della leadership ucraina. E conclude, Ošerov, con un ciceroniano “Quosque tandem” «sopporteremo sputi dalla Polonia (il riferimento è alla recente intrusione poliziesca nella scuola russa presso l’ambasciata russa a Varsavia, ndr) e colpi sul Cremlino? Non è forse tempo di cominciare a fare la guerra come si deve?».
Meno “emozionali” e più “ragionate” le argomentazioni dello storico Dometij Zavol’skij, ancora sull’agenzia “REX”, il quale osserva che quantunque i droni che hanno attaccato il Cremlino fossero dei più sofisticati, resistenti ai mezzi di difesa elettronica russa, il risultato su cui contavano gli attaccanti era proprio l’effetto psicologico: seminare incertezza tra la gente, nel momento in cui le truppe di Kiev si muovono per lanciare l’offensiva. Dunque, sostiene Zavol’skij, oltre a rafforzare le necessarie misure di difesa, molto più importante sarà fare in modo che il temporaneo “successo” ucraino non si accompagni a una «malsana reazione dell’opinione pubblica», cosa su cui conta Kiev.
Più o meno questa anche l’opinione di Oleg Karpovic che, su “Komsomol’skaja Pravda”, scrive che si è trattato della «ennesima conferma della natura terroristica del regime diKiev»; ma, scopo diretto dei Servizi ucraini era soprattutto quello di seminare «panico e apatia nei russi, inoculare senso di insicurezza e di minaccia permanente, sia nei cittadini comuni che nelle élite politiche. Al tempo stesso, si è trattato di una sorta di rapporto fatto ai curatori occidentali, che, sotto la pressione delle proprie popolazioni, iniziano a dubitare dell’efficacia dei fondi stanziati per sostenere Kiev».
E infatti, l’editorialista russo di Bloomberg, Leonid Beršidskij, è costretto ad ammettere che in «tutto l’Occidente scema il sostegno per le forniture di armi a Kiev»: anche in USA, Francia, Giappone; mentrein Germania la maggioranza considera «insufficienti gli sforzi diplomatici per risolvere il conflitto». Ecco che allora consiglia ai governi occidentali, se vogliono continuare a godere del sostegno interno alle politiche ucraine, di rivolgersi «agli istinti più bassi dei loro elettori confusi e dubbiosi». E cosa consiglia il russo convertito sulla via di Bloomberg? Per cominciare, venno sottolineayi i vantaggi economici del sostegno militare: lo stimolo all’industria della guerra e all’economia nel suo insieme e, nel lungo periodo, l’aumento delle capacità USA nella fabbricazione di armi: dai proiettili d’artiglieria ai missili di difesa aerea. Bravo! Un altro argomento è poi legato alla “sostenibilità energetica europea”, che «apre agli USA un ampio mercato di esportazione verso l’Europa: un indubbio vantaggio economico». Bravissimo! Infine, l’impatto della crisi ucraina sulle migrazioni che, a detta di Beršidskij, una vittoria russa non potranno che aggravarsi. Come volevasi dimostrare!
Tornando alla Russia, ecco quindi le reazioni a livelli più alti generate dall’attacco ucraino: il Governatore della Crimea, Sergej Aksënov, ha chiesto di riattivare lo SMERŠ (Smert Špionam: il controspionaggio militare nella Seconda guerra mondiale); il presidente della Commissione difesa della Duma, Andrej Kartapolov ha chiesto la reintroduzione dei commissari nell’esercito; il deputato Andrej Ivanov ha chiesto la revoca della moratoria sulla pena di morte per i terroristi; e così via.
Su un piano più “tecnico”, altri puntano l’attenzione specificamente sull’utilizzo dei droni, ricordando come, ad esempio, nel conflitto jemenita, l’Arabia Saudita, a dispetto delle enormi cifre spese, non sia mai riuscita a proteggere completamente le proprie strutture dai droni iraniani. Già qualche anno fa, ricorda “Colonel Cassad”, teorici militari britannici mostravano che di fronte a un uso massiccio o sciame di piccoli droni, nessun esercito moderno è in grado di fornire una copertura completa al proprio territorio e alle proprie truppe, e il problema è aggravato dall’estensione del teatro operativo. È lampante, scrive “Colonel Cassad”, che i droni russi «infliggono molti più danni, mentre il nemico fa più affidamento sulle pubbliche relazioni, con danni materiali molto limitati per noi. Ma ciò non significa che non si debbano colpire non solo obiettivi militari, ma anche quelli politicamente significativi, con l’obiettivo della guerra psicologica».
Chissà se qualcuno, al Cremlino, non pensi già a un cambio di strategia, di fronte al passo criminale deciso oltreoceano? Che la linea Putin-Šojgù-Lavròv abbia molti più avversari di quanto appaia?
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