di Cesare Corda

«Giungemmo a una città di bellezza inenarrabile. Le mura erano costruite di dodici filari e ciascuno era di una diversa pietra preziosa; le porte erano d’oro e d’argento. Entro le mura trovammo dorato il terreno, dorate le case, dorate le ville. La città era piena d’una luce ignota e d’un soave profumo, ma nell’attraversarla non incontrammo una sola persona o animale o volatile.» (Cosma I, Patriarca di Costantinopoli, X Secolo)

«Il flusso del tempo, irresistibile, sempre in movimento, trasporta e porta via tutte le cose che nascono e le immerge nell’oscurità più totale […] Ma il racconto dell’indagine storiografica è un valido argine contro il fluire del tempo, e in certo modo costituisce un ostacolo alla sua corrente irresistibile, e afferrando con una salda presa quante più cose galleggiano sulla sua superficie, impedisce che scivolino via e si perdano nell’abisso dell’oblio.» (Anna Comnena, Principessa Romana d’Oriente, XII Secolo)

«L’Occidente non ha conquistato il Mondo con la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione ma attraverso la sua superiorità nell’uso della violenza organizzata. Gli Occidentali lo dimenticano spesso, i non Occidentali mai.» (Samuel Phillips Huntington, “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale” 1996)

COSTANTINOPOLI

A metà del XII Secolo Costantinopoli, con i suoi 400.000 abitanti, era la città più grande del Mondo, e la Capitale di un Impero raffinato e opulento, ma da tempo ormai in decadenza. Era una città magnifica, da togliere il fiato.

La maggior parte della popolazione era Greca, ma non pochi erano i Latini. Il quartiere Veneziano si estendeva sulla sponda meridionale del Corno d’Oro per mezzo chilometro, dalla Porta del Drongario alla Porta degli Ebrei. Non lontani vi erano il quartiere Amalfitano e quello Pisano. Dall’altra parte del Corno d’Oro era localizzato quello Genovese, conosciuto come “Pera” in Greco (Π?ρα, “la parte al di là”) o, successivamente, “Beyo?lu” in Turco. Si trovava su una collinetta che dava sul mare, caratterizzata da strette viuzze, simili a carruggi, e dominata dalla Torre di Galata.

Oltre a Greci e Italiani a Costantinopoli vivevano minoranze di tutti i Popoli d’Europa, del Mediterraneo e del Medio Oriente: Bulgari, Serbi, Dalmati, Cumani, Normanni, Franchi, Germani, Magiari, Ebrei, Armeni, Siriani, Egiziani, Berberi, Arabi, Persiani, Curdi, Turchi.

La Guardia Variaga dell’Imperatore era composta da guerrieri di origine Scandinava (che chiamavano Costantinopoli “Miklagarðr”, in Norreno, “Grande Città”) ma anche Russa, Tedesca, Inglese e Scozzese.

Molti erano i Musulmani. C’era una grande moschea in città che poteva contenere migliaia di persone ed era sempre affollata per la preghiera del venerdì.

La città aveva ancora l’aspetto di una metropoli tardo Romana con i fori pubblici, le strade dei negozi, i mercati. In ogni quartiere si potevano ammirare le splendide ville in pietra dei ricchi, impreziosite da rivestimenti in marmo, mosaici, arredi lussuosi, dipinti. A pochi metri da queste vi erano i condomini fatiscenti e maleodoranti dei poveri, le case in legno, le baracche di tutti i profughi che dall’Asia Minore si erano rifugiati nella Capitale man mano che i Turchi avevano occupato i loro territori.

La leggenda narra che Costantinopoli, proprio come Roma, fosse stata costruita su sette colli. I monumenti dorati, le cupole e le colonne in marmo erano posizionati sulle colline e visibili da ogni parte della città, dando alla stessa un aspetto maestoso e quasi irreale.

Il fulcro della metropoli era rappresentato dalla grande piazza dell’Augustaion, sulla quale si affacciavano la Basilica di Santa Sofia (?γ?α Σοφ?α , “Hagia Sofia”), alla quale ovviamente non erano stati ancora aggiunti i minareti, e il Gran Palazzo (Μ?γα Παλ?τιον , “Méga Palátion”). Nel centro della piazza si ergeva la Colonna di Giustiniano.

Poco distante vi era l’Ippodromo, che nei giorni di festa diventava il vero centro della vita cittadina. Gli abitanti di Costantinopoli andavano pazzi per le corse dei carri, e la rivalità tra le fazioni eccedeva di gran lunga il semplice spirito sportivo. Sull’Ippodromo si affacciava il “Kathisma”, la tribuna Imperiale, collegata direttamente al Gran Palazzo. Molto spesso il destino di un Imperatore dipendeva da ciò che accadeva dentro l’Ippodromo.

La città era piena di giardini e, anche all’interno delle mura, di campi dedicati all’agricoltura, ma la maggior parte dei prodotti destinati a nutrire quasi mezzo milione di persone arrivavano dalla campagna, o dal mare. Ogni giorno attraccavano al porto centinaia di navi solo per rifornire di frumento la Capitale, essendo il pane l’alimento base delle classi più umili. Il vino più pregiato veniva dal Sud Italia, l’olio dalla Grecia, il formaggio da Creta, il caviale di storione dalla Russia, le uvette dalla Siria, i fichi dal Peloponneso, il miele dalla Bulgaria, le spezie dall’Oriente.

Se pane e vino erano gli alimenti base della dieta quotidiana, gli abitanti di Costantinopoli consumavano anche molto pesce, crostacei, cozze, calamari, uova di pesce salate, e altrettanta carne: selvaggina, pernici, piccioni, merli, oche, uccelli selvatici. Verdura e frutta, fresca e secca, non mancavano mai sulla tavola di chi poteva permettersele.

Nei quartieri popolari i mercati erano molto coloriti, e un cronista Arabo si stupì nel constatare come le venditrici fossero quasi tutte donne. Le taverne, le osterie e gli ostelli si trovavano ovunque, ed erano quasi tutti a gestione familiare. Si mangiava e beveva bene e a prezzi contenuti.

La città era anche piena di bordelli, spesso costruiti proprio nelle vicinanze di una chiesa. Gli schiamazzi dei clienti avvinazzati e delle ragazze si sentivano anche durante le funzioni religiose. La prostituzione comunque non era praticata solo nei locali, ma anche lungo le strade, dove molte giovani donne non si facevano remore a mettere in mostra le proprie grazie. Esistevano anche numerose cortigiane di alto livello, per i nobili e i ricchi, che spesso si esibivano nei teatri pubblici come ballerine e attrici.

I bagni pubblici erano numerosissimi e gli abitanti di Costantinopoli erano soliti farsi il bagno almeno una volta alla settimana. Usanza che non era condivisa dai più rozzi Occidentali.

L’istruzione era diffusa. Di solito i ragazzi studiavano fino ai 14 anni e le ragazze fino ai 12. Si calcola che nel XII Secolo circa la metà della popolazione di Costantinopoli fosse alfabetizzata, un livello che Francia, Gran Bretagna, Italia e Germania avrebbero raggiunto solo nel corso del XIX Secolo, oltre mezzo Millennio più tardi. La città pullulava di scribi e impiegati Statali, che copiavano ogni genere di testo e documento.

Anche la medicina era molto evoluta. Vi erano case di riposo per anziani e ospedali per i poveri. La stessa Principessa Anna Comnena gestiva il più grande ospedale della città. Le cronache del tempo raccontano di come fu tentata anche una complicatissima operazione di separazione di due gemelli siamesi Armeni, attaccati per la pancia. Uno dei due morì subito, l’altro sopravvisse qualche giorno, prima di spegnersi anche lui. Ma è sorprendente il fatto che un’operazione del genere fosse stata anche solo azzardata a quei tempi.

In primavera e in estate la città era incantevole. Ovunque vi erano alberi da frutto e fiori, specialmente rose, che venivano adoperate per decorare case, strade, palazzi e chiese e per produrre l’acqua di rose. I fiori e le erbe coltivate in casa servivano a creare le essenze aromatiche che le donne usavano nei cosmetici e per profumare i loro vestiti o che spargevano sui pavimenti per rinfrescare le stanze.

Questa metropoli millenaria, la “Seconda Roma”, sfavillante di colori, pregna di odori, ovattata di melodie e zampillante di vita, sembrava eterna, proprio come la Prima.

Invece sarebbe stata presto persa per sempre alla Civiltà Europea e alla Religione Cristiana a causa dell’odio cieco che i Latini provavano per i loro fratelli separati Greci.

E anche i successivi tentativi, durati Secoli, della “Terza Roma”, Mosca, di liberarla sarebbero sempre stati frustrati, non tanto dalla resistenza dell’invasore Turco, quanto dall’appoggio che di volta in volta gli sarebbe stato accordato dalle Potenze Cristiane dell’Occidente, che hanno sempre preferito che Costantinopoli restasse Musulmana, piuttosto che tornasse ad essere il cuore pulsante del Mondo Ortodosso.

GRECI E LATINI

Quale sia il livello del nostro pregiudizio e della voluta travisazione della realtà storica è dimostrato dal fatto che noi continuiamo a chiamare con il termine intenzionalmente inesatto e vagamente denigratorio di “Bizantini” i Romani d’Oriente. I Romei (Greco: ?ωμα?οι, “Rh?maîoi”) erano i legittimi eredi dell’Impero Romano, che non ha mai cessato di esistere fino al 1453, quando Costantinopoli è caduta definitivamente.

Mai si sarebbero sognati di chiamarsi “Bizantini”, denominazione introdotta nel XVIII Secolo in Occidente con l’unico scopo di far percepire una mai esistita discontinuità tra l’Impero Romano precedente al 476 e quello che è sopravvissuto un altro Millennio dopo Odoacre.

Persino gli stessi Ottomani indicavano i Romani d’Oriente col termine “R?m” (Romani) e, dopo la conquista di Costantinopoli, che avrebbero continuato a chiamare “Qus?an??niyya” fino al XX Secolo (quando il nome fu turchizzato in “Istanbul”), avevano assegnato ai propri Sultani il titolo di  “Qaysar-? R?m” (“Cesare dei Romani”).

Dopo la separazione delle due parti dell’Impero Romano e dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, tra Greci e Latini non era mai corso buon sangue e le incomprensioni erano state molto più frequenti dei tentativi di distensione. Sgarbi ce n’erano stati da entrambe le parti, ma è indubbio che quelli perpetrati dagli Occidentali nei confronti del “fratelli” Orientali furono più gravi e forieri di conseguenze indelebili. Il Vescovo di Roma non aveva alcun primato religioso rispetto alle altre Sedi Episcopali di Costantinopoli, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme e i Papi Cattolici ricorsero ad ogni genere di contraffazione e menzogna pur di ritagliarsene uno, falsificato e posticcio. Ancora peggio, nel 800 arrivarono ad incoronare un nuovo Imperatore, nella figura del Re barbaro Carlo Magno, che entrò in concorrenza con l’unico Imperatore autentico, quello Romano di Costantinopoli.

A quel punto il Grande Scisma era solo questione di tempo, e puntualmente si verificò nel 1054. Da allora l’Impero Romano e la Chiesa Cristiana Orientale divennero dei veri e propri nemici per il cosiddetto Papa e per il cosiddetto Imperatore dell’Occidente. Erano la prova vivente della loro impostura ed illegittimità e una eventuale caduta di Costantinopoli sarebbe sicuramente stata salutata con malcelato giubilo dai due abusivi.

L’Impero Romano d’Oriente aveva avuto un nuovo apogeo tra la fine del IX Secolo e l’inizio del XI Secolo. Aveva sconfitto i Bulgari, aveva allargato i propri confini nei Balcani, in Italia Meridionale, in Asia Minore e in Medio Oriente e aveva trovato nel nuovo Stato Russo di Kiev un alleato inaspettato e prezioso. Con la sconfitta nella decisiva Battaglia di Manzicerta (1071) ad opera dei Turchi Selgiuchidi però buona parte della Penisola Anatolica fu nuovamente perduta e la Capitale riprese ad essere minacciata da Est

Negli stessi anni i Latini avevano iniziato l’epopea delle Crociate. Nel 1096, chiamata da Papa Urbano II e da Pietro d’Amiens detto “l’Eremita”, era partita la Prima Crociata, che era terminata con un pieno successo delle forze Cristiane (appoggiate anche dall’Imperatore Romano d’Oriente Alessio I Comneno) e con la Presa di Gerusalemme (1099)

Il controllo della Città Santa durò meno di un Secolo. Nel 1185 l’ultimo grande Sovrano Cristiano di Gerusalemme, il “Re lebbroso”, Baldovino IV, calò nella tomba a soli 24 anni (dopo avere dato prova delle sue straordinarie capacità, che solo un destino infausto gli impedì di far fruttare con maggiore beneficio per il suo Regno). Nel 1187 il Saladino, con la vittoria nella Battaglia di Hattin (presso Tiberiade), riconquistò Gerusalemme. La successiva Terza Crociata (1189-92), guidata da Riccardo Cuor di Leone, Filippo il Guercio e Federico Barbarossa, non riuscì a capovolgere gli esiti di tale disfatta.

LA QUARTA CROCIATA

Nel 1198 salì al Soglio Pontificio Innocenzo III, un Papa giovane (36 anni), energico e pasticcione. Il Regno Cristiano di Gerusalemme, persa ormai la sua Capitale, era ridotto ai minimi termini: poche città sulla costa: Sidone, Tiro, San Giovanni d’Acri, Giaffa, oltre alla Contea di Tripoli, separata più a Nord. Altri piccoli Regni Cristiani sopravvivevano ancora ad Antiochia e a Cipro. Il Saladino era morto cinque anni prima, ma la Dinastia Curdo-Musulmana degli Ayyubidi, da lui fondata, dominava il Medio Oriente, dalla Mesopotamia alla Penisola Arabica, dalla Siria all’Egitto e alla Cirenaica.

Innocenzo, come ogni buon Papa del suo tempo, promosse una Crociata, la quarta, trovando il suo Pietro l’Eremita in Folco di Neuilly, un prete tarchiato, zotico e ignorante, ma dalla favella irresistibile. Predicatore instancabile, di lui si racconta che cercasse di far proseliti ovunque, anche nei bordelli, e che sottrasse parte del denaro raccolto per finanziare l’impresa.

Poco dopo la partenza della spedizione Folco improvvisamente morì, forse colpito dal castigo divino, comminato non tanto per i veniali peccati da lui personalmente commessi in vita, quanto per quelli assai più gravi dei quali di lì a poco si sarebbero macchiati i suoi accoliti.

Per raggiungere la Terra Santa ci voleva una flotta, e i Crociati decisero di rivolgersi ad una delle maggiori potenze “capitaliste” dell’epoca, la Serenissima Repubblica di Venezia. Il vecchissimo Doge cieco, Enrico Dandolo, promise che avrebbe messo a disposizione la navi per trasportare 4.500 cavalieri, 9.000 scudieri e 20.000 fanti in cambio della smodata somma di 85.000 marche d’argento. I Veneziani sapevano sempre fare bene i loro conti.

Meno bene invece i conti li avevano fatti i Crociati, visto che al momento della partenza, nel Giugno 1202, a Venezia si radunarono meno della metà degli uomini previsti e per saldare la somma pattuita mancavano ancora 34.000 marche d’argento.

L’impresa però non poteva più essere fermata: entrambe le parti avrebbero perso quanto fino ad allora investito. Allora il Doge propose al capo dei Crociati, Bonifacio I del Monferrato, che avrebbe dilazionato il pagamento della somma restante se i Crociati lo avessero aiutato a riconquistare Zara, che venti anni prima si era ribellata a Venezia e si era posta sotto la protezione del Regno d’Ungheria. Zara era una città Cristiana, ma Bonifacio non aveva altra scelta e si adattò; l’8 Ottobre 1202 finalmente la flotta salpò verso una meta che era ancora ignota alla quasi totalità di coloro che si erano imbarcati.

Arrivati in Dalmazia i Crociati vennero informati della necessità di attaccare Zara. Iniziarono violente discussioni e un gruppo di essi, guidato da Simone IV di Montfort, si rifiutò di aggredire una città Cristiana e, separatosi dal resto della spedizione, decise di raggiungere la Palestina con mezzi propri. La stragrande maggioranza dei Corciati però, eccitati dalla brama del saccheggio, diedero l’assalto al borgo e lo espugnarono.

Dopo aver massacrato la popolazione locale, Franchi e Veneziani entrarono in contrasto tra loro per la spartizione del malloppo e si affrontarono armi in mano. Proprio in quel momento giunse la notizia che Papa Innocenzo III aveva scomunicato sia gli uni che gli altri.

La Crociata era partita sotto il peggiore auspicio. E si trattava solo del prologo.

IL PRIMO ASSEDIO DI COSTANTINOPOLI   

Presto l’incerto Pontefice fu costretto dalle pressioni che gli arrivavano da ogni parte ad annullare la scomunica. Nel frattempo nell’accampamento Cristiano in Dalmazia si erano presentati gli ambasciatori di Alessio IV. Si trattava del figlio del precedente Imperatore Romano d’Oriente, Isacco II, il quale era stato detronizzato, accecato e imprigionato da suo fratello Alessio III, che ne aveva usurpato il trono.

Il giovane Alessio promise 200.000 marche d’argento, 10.000 soldati da inviare in Terra Santa, accordi commerciali favorevoli ai Veneziani e la riunione delle due Chiese in cambio dell’appoggio militare dei Corciati per riconquistare il trono. Questi fiutarono un nuovo, ancora più ingente, bottino e accettarono.

I più lieti della nuova impresa furono senza dubbio i capitalisti Veneziani. Da tempo avevano messo gli occhi sul grande Impero centralista e statalista e, graze a concessioni e accordi sempre a loro vantaggio, avevano iniziato a spolparlo dall’interno, trasformando tutto ciò che era pubblico in privato (proprio come sta accadendo negli ultimi decenni agli Stati Europei attuali, per mano delle banche, delle multinazionali e degli speculatori senza patria).

Arrivati sotto le mura di Costantinopoli i Crociati si aspettavano che la popolazione li avrebbe accolti favorevolmente, invece furono salutati da insulti, sberleffi e lancio di frutta marcia. I Greci, memori del passaggio delle spedizioni precedenti, non ne potevano più dei rozzi, arretrati, facinorosi, voraci Latini. In quanto al giovane pretendente al trono, nessuno lo riconobbe. Le porte della Capitale restarono chiuse.

Iniziò allora, il 1 Giugno 1203, l’assedio, per terra e per mare. La città era ben difesa, ma i Franchi riuscirono, dopo aspra battaglia contro una guarnigione di Danesi e Inglesi, ad espugnare la Torre di Galata, sull’altra riva del Corno d’Oro e, sciolte le catene che ne bloccavano l’accesso, permisero alla flotta Veneziana di entrarvi.

I Veneziani ebbero successo nella conquista di una parte di mura dal lato del Corno d’Oro, comprese alcune torri, ma furono poi respinti dalla Guardia Variaga. Alessio III allora decise di uscire col suo esercito dalle mura e di contrattaccare in campo aperto. Presso la Porta di San Romano, alla testa di 8.500 uomini, si apprestava ad affrontare 3.500 Crociati. Ma l’usurpatore era un codardo e, prima ancora di attaccare battaglia, ordinò la ritirata di nuovo entro la cinta delle mura. Tale atto di vigliaccheria provocò l’insurrezione della popolazione di Costantinopoli e Alessio III, arraffato quanto poteva del tesoro imperiale e portando con sè la figlia preferita, scappò in Tracia.

Il Popolo liberò allora il vecchio e cieco Isacco II e lo riportò sul trono. I Latini gli imposero di nominare il figlio, Alessio IV come coreggente. La cerimonia si tenne il 1 Agosto 1203 in Santa Sofia, alla presenza di tutti i capi Franchi e Veneziani.

IL SECONDO ASSEDIO DI COSTANTINOPOLI

Come già era avvenuto in passato, la convivenza tra Greci e Latini si dimostrò assai complicata. Alessio IV aveva difficoltà a mantenere le promesse che aveva fatto agli Occidentali. Le casse dell’Impero erano vuote ed egli si risolse a imporre nuove tasse che esasperarono la popolazione, consapevole che i proventi sarebbero finiti nelle tasche degli invasori. L’unione tra le due Chiese inoltre era fermamente osteggiata sia dal clero Orientale che dal Popolo.

Come se non bastasse gli odati Crociati erano accampati all’interno della città e si lasciavano andare ad ogni genere di violenza e ruberia. La popolazione intraprese una vera e propria guerriglia urbana contro gli occupatori, aggredendo per le strade i Latini che si trovavano da soli o in piccoli gruppi, e assassinando quelli che di notte uscivano ubriachi dalle taverne e dai bordelli. Dopo che gli Occidentali avevano saccheggiato una moschea i Greci si unirono in massa ai Musulmani nella rappresaglia e i Crociati, sopraffatti, diedero fuoco ad alcuni quartieri per coprirsi la fuga.

Il 28 Gennaio 1204 il capo della fazione più ostile ai Latini, Alessio Ducas detto “il Marzuflo” (“dalle sopracciglie folte”), ottenuta la fedeltà dalla Guardia Variaga, si mise a capo di una rivolta che rovesciò Alessio IV (che poco dopo fu giustiziato) e si fece incoronare Imperatore col nome di Alessio V. Il nuovo Sovrano emise subito un provvedimento di espulsione di tutti i Latini presenti a Costantinopoli.

Iniziò il secondo assedio: un primo attacco Crociato alla città fu respinto il 9 Aprile e una sortita tentata dal Generale Greco Teodoro I Lascaris (futuro Imperatore di Nicea) non ebbe successo. Il 12 Aprile i Veneziani riuscirono a scalare un tratto di mura partendo dalle navi e ad aprire le porte. Il nuovo usurpatore si diede alla fuga, proprio come quello precedente, e per la città non ci fu più scampo. 

Lo scempio patito da Costantinopoli in quei giorni ha pochi eguali nella Storia. Se durante il Sacco di Roma del 410 il Barbaro Alarico aveva dato ordine di risparimare i luoghi di culto e aveva personalmente reso omaggio ai Sepolcri degli Apostoli, lo stesso non fecero otto Secoli dopo i Crociati, Cristiani. La Capitale era in fiamme. Anche Santa Sofia fu devastata, l’Altare fu spaccato e una prostituta fu issata dalla soldataglia avvinazzata sul Trono del Patriarca, dove improvvisò una danza oscena. 

Niceta Coniata, cronista e testimone oculare, che si salvò egli stesso a stento dal massacro, descrive così i Crociati: “Estranei alle Muse e senza familiarità alcuna con le Grazie, hanno natura feroce e l’ira più rapida delle parole.”

E la strage: “Ognuno portava la propria pena, nelle strette vie si udivano singhiozzi e lamenti, nei trivi gemiti, nelle chiese pianti, grida di uomini, urla di donne e arresti, sequestri, stupri e separazioni fisiche di gente fino ad allora insieme. I nobili si aggiravano nudi, i vecchi piangendo, i ricchi derubati. Così accadeva nelle piazze, così negli angoli, così nei santuari, così nei posti nascosti: non c’era nessun luogo che non fosse perquisito o che offrisse sicurezza a chi soffriva”.

Baldovino di Fiandra, futuro Imperatore Latino di Costantinopoli, informò il Papa del bottino trafugato con queste parole: “Viene presa una innumerevole quantità di cavalli, di oro e di argento, di sete, di vesti preziose e di gemme e di tutto ciò che tra gli uomini è elencato tra le ricchezze. Viene trovata una tale immensità di abbondanza che non pareva possedere l’intera Latinità.”

Un altro capo Crociato, Goffredo di Villehardouin aggiunse: “Il bottino fu così grande che nessuno saprebbe dirvene la fine, oro e argento e vasellame e pietre preziose e drappi di raso e di seta e vesti di vaio e di grigetto e di ermellino e tutte le cose più ricche che mai si trovarono in terra”.  

Alcune centinaia di ragazze, rapite dopo gli stupri, furono poi vendute nude ai Turchi, insieme ad un numero imprecisato di bambini, destinati a divenire schiavi.

La Quarta Crociata si concluse così, nella vergogna, senza neanche essere arrivata a lambire la Terra Santa.

L’IMPERO LATINO E GLI ULTIMI SECOLI DI COSTANTINOPOLI CRISTIANA

Il Papa – va detto a sua discolpa – non aveva alcuna responsabilità nell’ignobile misfatto. Anzi, aveva cercato in tutti i modi di fermare i Crociati, arrivando a minacciare una seconda scomunica. Ma, imbranato e avventato com’era, quando gli giunse la notizia della caduta di Costantinopoli, egli volle vederci un disegno divino e, convintosi di avere sbagliato ad ostacolare l’impresa, commise lo sciocco errore di salutarla con esultanza. Finì così per apparirne il mandante agli occhi dei Romei, che presero ad odiare lui e la sua Chiesa ancora di più, rendendo impossibile ogni riconciliazione futura.

Gli Occidentali vincitori fondarono sulle rovine della Capitale l’effimero Impero Latino di Costantinopoli (1204-1261) ed elessero Baldovino delle Fiandre come primo Imperatore. Il territorio sotto il suo effettivo controllo però era abbastanza ridotto e di fatto si limitava all’entroterra della Capitale fino ad Adrianopoli, con gli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Alcuni Stati vassalli furono creati in Grecia.

Molto maggiori furono i guadagni di Venezia, che si annesse Durazzo, Corfù, Cefalonia, il Negroponte, Creta e Rodi, oltre ad alcune fortezze in Morea (Corone, Modone, Argo e Nauplia), diventando di fatto padrona dell’Egeo

Ciò che restava dell’Impero Romano d’Oriente fu spezzato in tre tronconi: l’Impero di Nicea, il Despotato dell’Epiro e l’Impero di Trebisonda, mentre parte dell’Asia Minore era in mano Turca e i Balcani in possesso della Bulgaria.

Non era passato neanche un anno dalla sua fondazione, che sul precario Impero Latino di Costantinopoli calarono proprio i Bulgari, capeggiati dallo Zar Kalojan. Ad Adrianopoli (1205) sconfissero i Latini e imprigionarono anche l’Imperatore Baldovino, che poco dopo spirò in cattività.

Nel 1261 l’Impero Romano d’Oriente fu riunificato per l’ultima volta dall’Imperatore Michele VIII Paleologo, che riprese Costantinopoli ai Latini. Ma ormai delle glorie del passato si conservava solo un pallido ricordo e il morente Impero riuscì a sopravvivere altri due Secoli solo a causa delle divisioni e delle lotte in corso tra i suoi nemici.

Il 29 Maggio 1453, dopo un lungo assedio, un’orda di 100.000 Turchi, guidati dal Sultano Maometto II, si abbattè su Costantinopoli, difesa solo da 6.000 Greci e da un contingente di 700 Genovesi al comando di Giovanni Giustiniani.

L’ultimo Imperatore, Costantino XI Paleologo, si rifiutò di scappare e decise di morire con la spada in pugno, nella disperata difesa dell’ultimo lembo del millenario Impero Romano che si spegneva.

Pochi anni dopo Ivan III il Grande, unificatore delle terre Russe, sposò Sofia Paleologa, nipote dell’ultimo Imperatore Romano d’Oriente, e adottò lo stemma dell’Aquila Bicipite, che era in uso presso i Romani fin dai tempi di Costantino I.

Nasceva, o risorgeva, a Mosca la Terza Roma e anch’essa, come la favolosa città affacciata sul Bosforo, con una testa guardava ad Occidente e con l’altra ad Oriente.

CONSEGUENZE DELLA QUARTA CROCIATA

La distruzione di Costantinopoli nel 1204 non fu un delitto premeditato, ma derivò dall’improvvisazione, dalla stupidità, dalla cupidigia, dall’ignoranza e dalla barbarie dei comandanti Crociati e Veneziani che, loro malgrado, si fecero protagonisti di eventi di portata ben più grande di loro, cambiando per sempre il corso della Storia.

L’Impero Romano d’Oriente alla fine del XII Secolo stava vivendo una fase di decadenza e di fiacchezza, ed era passato di mano in mano ad una serie di Sovrani incapaci e indegni, che lo avevano indebolito internamente ed esternamente, perdendo molti territori sia in Asia Minore come nei Balcani. Non si trattava però di una situazione nuova per il Millenario Impero, che nei Secoli precedenti ne aveva passate anche di peggiori, basti citare gli assedi Arabi della Capitale, nel 674-78 e nel 717-18.

All’inizio del XIII Secolo nulla lasciava quindi presagire che l’Impero Romano sarebbe crollato in modo così rovinoso e subitaneo. Proprio in quegli anni inoltre anche i suoi secolari nemici stavano attraversando un periodo di crisi, se possibile ancora peggiore.

I Turchi Selgiuchidi, che avevano sconfitto i Romei a Manzicerta nel 1071, furono abbattuti pochi decenni dopo dalla furia dei Mongoli, che strapparono loro la Transoxiana e la Persia. Sopravvisse solo un piccolo Stato Turco, il “Sultanato di Rûm”, localizzato nell’Anatolia centrale, che paradossalmente si considerava uno Stato “Romano” (“Rûm”) anche quello. Fu a sua volta annientato dai Mongoli nel 1243. Il successivo Impero Ottomano, nato dai resti dei possedimenti Turchi che erano stati messi a ferro e fuoco dai successori di Gengis Khan, fu nuovamente rovesciato dal feroce Tamerlano, con la Battaglia di Ankara del 1402.

L’Impero Romano d’Oriente dunque, senza la caduta di Costantinopoli del 1204, avrebbe avuto tutto il tempo per superare la congiuntura negativa e per consolidarsi nuovamente entro i vecchi confini.

Forse la prova più evidente e definitiva del fatto che l’Impero Romano non fosse ineluttabilmente destinato a scomparire è data però dalla Storia successiva dell’Impero Ottomano stesso, che ne prese il posto, finendo per ereditarne la Capitale, i territori sul quale era esteso e  il ruolo geopolitico.

Per altri sei Secoli l’Impero Ottomano sarebbe stato la Potenza predominante nei Balcani, in Asia Minore, in Medio Oriente e in Nord Africa, andando a colmare un vuoto che si era venuto a creare con la caduta di Costantinopoli. Ma i ruoli avrebbero potuto essere inversi se, quando i Turchi furono sbaragliati dai Mongoli e poi ancora dai Timuridi, i Greci avessero avuto la forza di approfittarne.

L’Impero Romano d’Oriente, rispetto a quello Ottomano, avrebbe avuto anche il duplice vantaggio di risultare meno sgradito ai Popoli Cristiani dei Balcani e di avere nella Russia un alleato religioso e ideologico a Nord.

Se la Storia avesse preso una piega del genere, ancora oggi uno Stato Greco, diretto discendente dell’Impero Romano, avrebbe potuto essere la Potenza egemone del Mediterraneo Orientale, mentre i Turchi sarebbero stati dispersi nell’Asia Centrale da dove erano venuti e i popoli Europei avrebbero presto perduto anche la memoria del loro antico passaggio.

Tra l’altro, senza la conquista Ottomana di Costantinopoli e di tutto il Mediterraneo Orientale, le Potenze Europee non avrebbero sentito il desiderio di trovare una nuova via verso le Indie, e anche la scoperta dell’America avrebbe potuto, siamo nel campo delle ipotesi, avvenire in tempi diversi.

LA LEZIONE DEL PASSATO NELLO SCENARIO ATTUALE

Il rancore dei Latini verso i Greci, non si esaurì con il sacco di Costantinopoli e anzi continuò ad esacerbarsi nei Secoli nei confronti di tutti i Cristiani Ortodossi e dei Russi in particolare.

La Russia contemporanea, sia nella sua versione Zarista, che in quella Sovietica, e ancora in quella post-Sovietica e Putiniana, è sempre rimasta sospesa tra Occidente e Oriente, proprio come lo erano i suoi avi politici di Costantinopoli. Se le élites del Paese, specialmente a partire da Pietro il Grande, si sono sempre ritenute parte di una koinè culturale Europea, il Popolo, a seguito del diffondersi del pensiero Slavofilo, si è sentito vieppiù attratto dal recupero dei valori politici, culturali e sociali della Russia antica e profonda, in antitesi con la cultura illuminista, liberale e progressista dell’Occidente.

Tradizione contro modernità, conservazione contro perenne mutamento (o consumo, o mera disintegrazione), spiritualismo contro materialismo, collettivismo contro individualismo, “integralità” (“???????????”, nel significato dato a questa parola dal filosofo Ivan Vasil’evi? Kireevskij) contro razionalismo, “sviluppo spirituale dell’anima, della vita interiore” della comunità (Aleksej Stepanovi? Chomjakov) contro benessere materiale ed edonistico del singolo, “passionarietà” (“??????????????”, Lev Nikolaevi? Gumilëv), contro regresso al personalismo, “realismo” (nell’accezione di Aleksandr Gel’evi? Dugin: la convinzione che i nomi siano rappresentazioni di essenze spirituali reali che generano gli enti e le categorie di enti) contro nominalismo, derivante dalla teologia cristiana scolastica medioevale.

E, dal punto di vista più prettamente geopolitico, Eurasia contro Occidente, Heartland contro Talassocrazie, multipolarismo contro unipolarismo, dialogo e diplomazia, nel senso più classico del termine (ben rappresentata da Sergey Lavrov, senza dubbio il più fine e capace diplomatico mondiale degli ultimi decenni), contro imposizione e ricatto.

L’Occidente non ha mai perdonato alla Russia la sua autonomia politica e la sua originalità culturale. In psicologia la “Sindrome di Caino” spiega come l’odio per il fratello dissomigliante sia sempre più intrinseco e inesauribile rispetto all’odio verso l’estraneo.

La Russofobia, feroce e unilaterale (non corrisposta dai Russi, che non hanno mai provato analogo sentimento per la controparte) è sempre stata uno dei caratteri preminenti dell’ideologia politica di molte Nazioni Occidentali. E a tal proposito può essere interessante leggere il libro “Russofobia, mille anni di diffidenza” del giornalista e scrittore Svizzero Guy Mettan.

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, le manovre da parte degli USA e degli Stati satelliti Europei per destabilizzare la Russia e l’area ex Sovietica sono state ininterrotte.

Se i Latini, otto Secoli fa, pur detestando Costantinopoli, finirono per distruggerla quasi per caso, questa volta l’intenzione premeditata dell’Occidente di liberarsi per sempre della scomoda presenza di Mosca è manifesta e si palesa da alcuni decenni, con tentativi sempre più avventati, violenti e ossessivi.

Dalle Rivoluzioni Colorate all’appoggio agli Islamisti in Asia Centrale e nel Caucaso e ai Nazisti in Ucraina; dalla continua espansione della NATO verso Est alle ripetute provocazioni politiche e militari e alla demonizzazione mediatica di tutto ciò che è Russo. Nulla è stato lasciato intentato, nella perenne impudente aggressione dell’Occidente imperialista e guerrafondaio alla Russia.

Nella strategia geopolitica globale Americana, influenzata dalla dottrina di Zbigniew Brzezinski, l’abbattimento della Russia è la precondizione per trovarsi faccia a faccia con quello che gli USA considerano il principale antagonista mondiale: la Cina. Ma il tempo stringe, la Cina continua a consolidarsi dal punto di vista economico, politico e militare, e la Russia è ancora in piedi. L’incubo della guerra su due fronti si fa sempre più reale.

La destabilizzazione Occidentale dell’Ucraina, iniziata con la “Rivoluzione Arancione” del 2004 e portata a termine dieci anni più tardi dall’Amministrazione Obama con il Colpo di Stato di Maidan e l’insediamento a Kiev della giunta di Petro Poroshenko, ha rappresentato l’ultimo e definitivo livello dell’aggressione di USA e UE al Mondo Russo, con il tentativo, fin troppo esplicito (“bisogna lanciare una bomba atomica sui Russi di Ucraina”, Julia Timoshenko, 25 Marzo 2014; “i nostri figli andranno negli asili e nelle scuole, i loro vivranno nelle cantine”, Petro Poroshenko, 17 Novembre 2014) di operare una pulizia etnica e culturale nei confronti della popolazione Russofona e Russofila delle regioni Orientali e Meridionali dell’Ucraina.

(Non a caso la narrazione madiatica Occidentale nega l’esistenza di due Nazioni distinte in Ucraina. Una delle due Nazioni per 8 lunghi anni è stata sottoposta ad ogni genere di violenza da parte dell’altra, dal bombardamento delle città per mano del suo stesso governo, al terrore scatenato dai Battaglioni Nazisti, con oltre 16.000 vittime nell’Ucraina Orientale dal 2014 ad oggi).

L’Operazione Militare Speciale, lanciata dal Presidente Putin il 24 Febbraio 2022 in Ucraina, è la risposta a tale, ennesimo, sconsiderato, attacco Occidentale. La Russia tutta, dai suoi vertici politici e militari fino all’intera popolazione, deve essere pienamente consapevole del fatto che una mancata conclusione positiva di tale operazione metterebbe a repentaglio non solo la vita dei Russi di Ucraina, ma quella della Nazione Russa nel suo complesso.

Da questo punto di vista liberare il solo Donbass non è sufficiente. È fondamentale mettere al sicuro tutta la popolazione Russofona che abita da Chernigov a Sumy, da Poltava a Harkov, da Dnepropetrovsk a Zaporozhe, da Herson a Nikolaev, da Kirovgrad a Odessa, la “Madre” (“??????-????” in Russo), dove il massacro del 2 Maggio 2014 non deve e non può restare impunito. E neutralizzare il resto dell’Ucraina, in modo che non possa servire mai più da strumento (perchè di un mero strumento, da usare e poi gettare, si tratta) per l’espansione della NATO ad Est.

Per 30 anni la Russia è stata sottoposta al rischio di fare la stessa fine dell’Impero Romano d’Oriente, rovesciato dalla brutalità dei Latini nel 1204. E ancora oggi questo pericolo è reale e tangibile. Ma se la Russia riuscirà a resistere e ad uscire vincitrice dalla lotta, allora a sfasciarsi sarà l’Unione Europea, ingovernabile Zattera della Medusa alla deriva. Perchè proprio l’Unione Europea è, dopo l’Ucraina, la seconda vittima designata del conflitto. Se non è ancora chiaro chi tra USA e Russia si imporrà in questo braccio di ferro, è invece ben evidente chi di sicuro sarà sconfitto: in primo luogo l’Ucraina, e in secondo luogo la UE.

Citando Dostoevskij: “agli occhi dell’Europa, la Russia è come uno degli enigmi della Sfinge. Per l’Occidente è più facile scoprire il moto perpetuo o l’elisir di lunga vita che sviscerare l’essenza della Russità, lo spirito Russo, il suo carattere e la sua natura.” Queste parole mantengono il proprio valore ancora oggi e, mentre la Russia affronta questo scontro finale conoscendo il nemico col quale deve combattere, non è vero il contrario. Esattamente come i Franchi otto Secoli fa, anche gli Occidentali oggi si confrontano con i fratelli separati d’Oriente all’insegna di un misto di ignoranza e supponenza, di prepotenza e sventatezza. Ed è possibile che questa volta l’esito sia diverso rispetto a quello di allora e che proprio l’ignoranza finisca per risultare loro fatale.

Fonte:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-come_loccidente_distrusse_la_seconda_roma_e_come_oggi_cerca_di_fare_lo_stesso_con_la_terza/39602_46026/

Di BasNews

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