Per capire come stia andando male la campagna stragista di Israele si può ricorrere a un confronto tra ciò che sta avvenendo nelle striscia di Gaza e ciò che è accaduto ad Artemosk, Bakhmut per gli ucraini, forse la piazzaforte più potente di cui disponeva il regime di Kiev che ne aveva curato le difese, con la supervisione Usa, per 8 anni. In questo caso la Russia, in minoranza per numero di uomini, ha impiegato 10 mesi per sconfiggere un nemico ucraino che aveva nell’area oltre 130 mila soldati, che era sostenuto dalla Nato con ogni tipo di armi e munizioni, con migliaia di presunti mercenari e con un complesso di intelligence militare tra cui figuravano anche decine di satelliti spia.
In Palestina invece dopo sei mesi di combattimenti Israele non è riuscita a sconfiggere la forza guerrigliera di Hamas armata alla leggera, priva di difesa aerea, artiglieria e carri armati e nemmeno è riuscita ad ottenere la liberazione degli ostaggi. Indubbiamente le forze israeliane si sono dimostrate abbastanza abili nell’uccidere donne, bambini e anziani disarmati, nel bombardare ospedali e cliniche ( cosa che en passant sarebbe un crimine di guerra), scuole, chiese, moschee, università centri profughi delle Nazioni Unite e anche abbastanza ciniche nell’uccidere oltre 200 giornalisti e 224 operatori umanitari. Ma questo sparare nel mucchio o prendere di mira i testimoni della strage per chiudere loro la bocca per sempre sta solo affondando qualsiasi simpatia verso Israele senza farle vincere la guerra, anzi ne sta compromettendo in maniera grave l’economia, perché i coloni non vogliono tornare nelle zone vicine alla Striscia di Gaza, i richiamati hanno dovuto lasciare il lavoro ed esiste nel mondo un vasto movimento di boicottaggio dei prodotti israeliani.
Per giunta le truppe israeliane, pesantemente armate, hanno subito inaspettate perdite in termini di uomini e mezzi e oggi quasi tutti i reparti sono stati ritirati da Gaza, lasciando alle bombe e ai missili il compito di massacrare i civili palestinesi, Il governo israeliano a seguito di questo clamoroso fallimento comincia a sgretolarsi e gli ultra sionisti di Tel Aviv non hanno altra strada che estendere il conflitto in maniera da coinvolgere gli Usa e la Nato. Come mi è capitato di dire la sconfitta spesso porta a più guerra invece che alla pace. E per questo che il governo di Netanyahu vuole marciare al sud del Libano contro Hezbollah e addirittura di trascinare l’Iran in una guerra.
Ma per così dire è credibile che Israele speri in una vittoria? Lasciamo da parte l’Iran che ha dieci volte la popolazione di Israele e le cui postazioni nucleari sono affondate dentro montagne inaccessibili a qualsiasi raid aereo o missilistico ma anche Hezbollah è un un osso durissimo: in passato ha già prevalso sulle truppe di Tel Aviv e dispone oggi di missili a lungo raggio che possono colpire con precisione le profondità di Israele. Non dico che si tratterebbe di un suicidio ma qualcosa di molto simile all’autoinfliggersi sofferenze, a meno che, appunto, Israele non cerchi di trascinare l’Occidente al fronte per farsi salvare. Cosa ha da offrire il governo sionista agli Usa e all’Europa intontiti dalla sconfitta in Ucraina? Lo ha chiarito l’attacco all’ambasciata iraniana di Damasco: distruggere le norme, le convenzioni internazionali e le leggi di guerra, creare un’anarchia geopolitica in cui ogni illegalità è consentita e in cui una Casa Bianca frustrata, potrebbe scorgere una risorsa per tamponate le sconfitte, generando paura. E’ la filosofia che Tel Aviv e il sionismo perseguono da decenni.
Ma in realtà proprio questo atteggiamento costituirebbe, anzi costituisce la maggiore sconfitta possibile, perché ogni resistenza non solo diventa più decisa, ma acquista un significato etico, una difesa della civiltà contro la barbarie. Certo l’Occidente in caduta libera e ormai privo di una chiara idea della realtà, finirà quasi certamente per cadere in questa trappola, subendone tutte le conseguenze