Caso Zaki, potrà piacere o non piacere, ma ci troviamo di fronte a un indubbio successo italiano sul piano internazionale, come non se ne vedevano da decenni, almeno nello scacchiere mediterraneo.
Bisogna infatti risalire alla Prima Repubblica, ai tempi di Bettino Craxi e di Giulio Andreotti , per assistere a una analoga considerazione nei confronti dell’Italia da parte dei Paesi della sponda Sud dell’ex mare nostrum. Perché è certo che, senza un accresciuto prestigio del nostro governo agli occhi del governo del Cairo e degli altri Paesi nordafricani, assai difficilmente saremmo arrivati alla liberazione del ricercatore dell’Università di Bologna. E, sia detto per inciso, la felice conclusione del caso Zaki è anche un successo di politica interna per Giorgia Meloni, visto che dimostra come un governo di destra, con il suo agire pragmatico e aideologico, possa ottenere risultati concreti migliori di una sinistra capace solo di fabbricare “icone” e di imporle nel sistema mediatico. Perché questo è stato in definitiva Patrick Zaki: niente altro che un simbolo da agitare contro il governo di centrodestra accusandolo di insensibilità nel campo dei diritti umani. Mal gliene incolse: questo stesso governo ha dimostrato invece che, agendo in silenzio (ma con determinazione), si conseguono normalmente successi ben maggiori di quando si suona la grancassa mediatica e propagandistica.
C’è però una domanda che non possiamo a questo punto eludere: la soluzione del caso Zaki è o no la prova che l’Italia oggi conta di più sul piano internazionale? Detto in altri termini, possiamo o no vedere la liberazione del giovane egiziano come un primo riscontro del fatto che la proiezione mediterranea inaugurata fin da subito dal governo Meloni è una giusta e produttiva linea di politica estera?
La grazia a Zaki è certo il frutto di un impegno particolare svolto dal nostro governo. E non solo dal ministero degli Esteri. Nel corso di questo anno, vari ministri (da quello dell’Interno e da quello della Difesa fino a quello dell’Università) sono andati in visita al Cairo, non solo per affrontare i dossier di interesse italo-egiziano, ma anche per perorare la causa del giovane ricercatore. Ci troviamo quindi di fronte a uno sforzo del tutto eccezionale dell’esecutivo italiano. Anche perché la ferita dal caso Regeni, torturato e ucciso da 007 egiziani, rimane una piaga dolorosa. Di qui, probabilmente, una ulteriore spinta su Abdel Fattah Al Sisi sul caso Zaki.
Detto questo, non si può però ignorare il fatto che l’Italia, con il governo Meloni, è impegnata in uno sforzo senza precedenti per stabilire ponti di collaborazione con i Paesi africani, non solo per quanto riguarda il controllo dei flussi migratori, ma anche e soprattutto sul piano dell’aiuto economico e dell’approvvigionamento energetico. E, fatto non privo di significato, l’Italia è riuscita a coinvolgere anche l’Europa in questa politica di collaborazione tra sponda Nord e sponda Sud del Mediterraneo. Vale la pena ricordare che la felice conclusione del caso Zaki è arrivata due giorni dopo la missione di Meloni, Von Der Leyen e Rutte a Tunisi per la stabilire l’intesa tra l’Ue e il governo nordafricano sulla lotta agli scafisti e al traffico di esseri umani. Non che tra i due fatti ci sia una relazione, ma è comunque sintomatico che essi avvengano nello stesso arco temporale.
Ecco quindi che è qui, in questa capacità dell’Italia, di coinvolgere l’Europa nelle sue iniziative sul fronte africano che troviamo la risposta affermativa al quesito sull’accresciuto peso internazionale del nostro Paese.
Il successo di una politica estera non lo si misura dalla capacità di tutelare un interesse nazionale al di fuori dei patri confini, ma dall’abilità nel trasformare quello stesso interesse nazionale in un interesse internazionale. Ed è proprio quello che sta facendo l’Italia coinvolgendo l’Europa nella sua politica mediterranea, a riprova del fatto che la sicurezza italiana è parte integrante della sicurezza continentale.
Tra le varie ragioni che possono aver spinto Al Sisi a cedere alle pressioni italiane, c’è probabilmente anche la considerazione che gli interessi strategici del nostro Paese coincidono con quelli europei. L’Italia, insomma, non è più sola.
Quando Craxi sfidò Ronald Reagan a Sigonella, molti si esaltarono per la brillante dimostrazione di orgoglio nazionale. Ma pochi sottolinearono che quella esibizione di “muscoli” italiani fu possibile solo perché l’allora premier aveva permesso il dispiegamento dei missili Cruise alla base di Comiso in risposta agli SS-20 sovietici.L’allineamento atlantico forniva all’Italia una serie di jolly da poter giocare nel Mediterraneo. E Giorgia Meloni sta probabilmente ritrovando oggi metodi ed esperienze di quando il nostro Paese seguiva una politica estera degna di tale nome
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