Dopo la clamorosa vittoria di Lula da Silva alle elezioni presidenziali, contro il presidente uscente Jair Bolsonaro, ai primi di gennaio, in Brasile sono scoppiate violente rivolte. I manifestanti pro Bolsonaro hanno preso d’assalto i palazzi del potere, hanno saccheggiato gli edifici pubblici portando via anche armi, sembra con vaste complicità negli apparati di pubblica sicurezza. Il presidente neo eletto ha messo in campo l’esercito per tentare di arginare le violenze.
Le interpretazioni relative ai drammatici eventi brasiliani impazzano nei media. I rivoltosi sono sostenitori di Bolsonaro, che protestano contro i brogli elettorali di Lula, dicono alcuni. E’ una rivolta simile a quella dei seguaci di Trump, che hanno assaltato Capitol Hill, dicono altri. Sono i poveri che insorgono contro le misure di Lula, che ha promesso di concedere aiuti solo ai vaccinati, dicono altri ancora. E via discorrendo.
Ma, si tratta veramente di una rivolta di popolo contro il potere illegittimo e prevaricatore del neo presidente Lula da Silva? Pepe Escobar, fine analista geopolitico, sul sito “The cradle”, ha proposto una spiegazione diversa, che sarà anche complottista, ma ha il pregio di essere molto più convincente. L’articolo è stato pubblicato sul sito il 10 gennaio e già dal titolo fa intuire il punto di vista dell’autore: perché la Cia ha tentato una “rivolta di Maidan” in Brasile. Un ex funzionario dell’intelligence statunitense, dice Escobar, ha confermato che il caotico remix di Maidan, messo in scena a Brasilia l’8 gennaio, è stata un’operazione della Cia e l’ha collegata ai recenti tentativi di rivoluzione colorata in Iran. Secondo la stessa fonte statunitense, la ragione per mettere in scena l’operazione – che porta segni visibili di una pianificazione affrettata – ora è che il Brasile è destinato a riaffermarsi nella geopolitica globale, insieme agli altri stati mebri del Brics, Russia, India e Cina. L’organizzazione internazionale denominata Brics per l’appunto è un acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica e ha per scopo la “dedollarizzazione”, cioè lo sganciamento dei paesi membri dal dollaro Usa nell’ambito del commercio internazionale. C’è una cosa nel recente vertice del Brics, che ha inquietato gli Stati Uniti ed è stato il progetto di creare una versione ampliata dell’organizzazione internazionale denominata Brics+. In questa ultima versione ampliata entrerebbero a far parte vari nuovi stati. Per la precisione Algeria, Iran e Argentina hanno già avanzato formale richiesta di entrare nel Brics+, mentre Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Afghanistan e Indonesia hanno espresso il loro interesse al progetto. E’ di tutta evidenza che con l’eventuale ingresso di questi paesi nel Brics+ l’Eurasia – Cina, Russia, India e Iran – si salderebbe al sud del mondo e il destino del dollaro americano sarebbe segnato da un declino inarrestabile.
Fonte: