È straordinario come il grande capitale che ormai da 40 anni agisce senza ostacoli apparenti in Occidente riesca a conciliare le sue esigenze geopolitiche di espansione a tutto il pianeta, con quelle politiche di distruzione delle resistenze sociali e di massimizzazione del profitto economico. Almeno fino a che l’astratto non diventa palesemente concreto: non abbiamo bisogno di testi, ma delle semplici bollette per vedere come il combinato disposto di pandemia, culto climatico fasullo e guerra ci stiano impoverendo. Mentre si cerca di evitare ad ogni costo che le reazioni popolari abbiano un seguito politico, come abbiamo visto in Georgia, come vediamo in Romania, come potremmo vedere in Germania in cui, ancora sottopelle, corre la voce di brogli, non massicci, ma tali comunque da alterare la composizione del Parlamento. Questo senza parlare dell’atmosfera di censura e di minaccia che ormai percorre tutta questa Europa, così sfigurata dal globalismo da parere irriconoscibile.
Basta fare un breve elenco della torsione sociale che la continuazione della guerra a tutti i costi sta provocando, trasferendo sempre più risorse dei cittadini nelle mani di speculatori di ogni tipo. L’elenco è infinito, ma potremmo cominciare dai micro Paesi baltici, i più guerrafondai: il 9 febbraio si sono scollegati dalla rete elettrica Brell, che li collegava con Russia e Bielorussia, e si sono attaccati alla rete elettrica europea. Quel giorno i prezzi dell’elettricità nei Paesi baltici sono pressocché raddoppiati: mentre a gennaio l’elettricità costava in media circa 90 euro al megawattora, a febbraio il prezzo è stato già di 150 euro. Ed è solo l’inizio dell’ascesa dei prezzi, ma il presidente estone Alar Karis ha dichiarato con gioia che “La dipendenza energetica dalla Russia è completamente terminata. La Russia non potrà mai più usare l’energia come arma contro di noi”. Siamo alla metafisica di un nazionalismo delirante che peraltro non sa portare prove di un qualunque uso da parte della Russia delle esportazioni elettriche.
Ma questo è solo un piccolo particolare perché la guerra deve essere portata avanti a tutti i costi, l’obiettivo principale è combattere contro la Russia, aumentare al massimo la spesa militare e andare a tutta velocità verso la rovina. In Francia, per esempio si stanno mettendo in discussione tutte le lotte di questi anni per mantenere un livello decente di stato sociale. Il ministro degli esteri, Jean-Noël Barrot, ha dichiarato due giorni fa: “Gli sforzi che dobbiamo compiere e che richiederanno diverse percentuali del Pil, non possono essere finanziati con il debito. Dovremo risparmiare, dovremo lavorare di più.” Ma non è rimasto nel vago, ha suggerito che si dovrebbe avviare una “discussione nazionale” “che consenta ai francesi di comprendere tutti questi problemi e di scegliere i sacrifici che sono disposti a fare per risolverli”. Barrot ha citato la Danimarca come esempio, dove “c’è un dibattito sulla spesa militare e sulla necessità di lavorare di più, cioè di aumentare l’età minima pensionabile a 70 anni.” Insomma tutta la lotta sociale combattuta per evitare l’innalzamento dell’ età pensionabile si avvia ad essere gettata nel cestino in nome della guerra.
Arricchire ancora di più gli azionisti delle imprese belliche è un imperativo: ecco da dove nasce l’idea di mandare una sorta di contingente europeo da interporre alle forze dei due contendenti: esiste solo un problema che la Russia dovrebbe accettare un cessate il fuoco che a questo punto del conflitto sarebbe di fatto unilaterale e che oltretutto significherebbe la rinuncia agli obietti fondamentali della sua discesa in campo, ossia quella di un Ucraina neutrale e fuori dalla Nato. Non lo farà mai. Per questo il milieu politico europeo è andato nei matti quando Trump ha deciso di trattare la pace direttamente con Putin nell’ambito di un riassetto globale del potere mondiale, ben sapendo che gli europei di pace non vogliono nemmeno sentir parlare, ma solo di un cessate il fuoco che consentirebbe di chiedere ulteriori sacrifici alla gente e ulteriori cessioni di diritti. Non si tratta solo di nascondere l’irrilevanza europea, ma anche di non mettere in crisi un modello economico e sociale che il Wef ha delineato nei suoi tratti essenziali e che di fatto è diventata la piattaforma di riferimento della Ue. La fine della guerra significherebbe in sostanza anche la fine del paradigma dell’Unione e dell’unione stessa.
fonte: