Qualche giorno fa ho letto sulla rivista Limes alcune considerazioni scritte in forma anonima da un ufficiale americano in congedo. Nulla di davvero nuovo, né sconvolgente, solo un promemoria della situazione reale dell’Italia in rapporto agli USA.
<<“Che cosa abbiamo? Il controllo militare e di intelligence del territorio, in forma pressoché totale. E quel grado, non eccessivo, di influenza sul potere politico -soprattutto sui poteri informali ma fondamentali che gestiscono di fatto il paese. Quello che voi italiani ci avete consegnato nel 1945 -a proposito, se qualcuno di voi mi spiegasse perché ci dichiaraste guerra, gliene sarei davvero grato- e che non potremmo, nemmeno volendolo, restituirvi. Se non perdendo la terza guerra mondiale.
In concreto -e vengo, penso, a quella «geopolitica» di cui parlate mentre noi la facciamo- dell’Italia ci interessano tre cose. La posizione (quindi le basi), il papa (quindi l’universale potenza spirituale, e qui forse come cattolico e correligionario del papa emerito sono un poco di parte) e il mito di Roma, che tanto influì sui nostri padri fondatori.
La posizione. Siete un gigantesco molo piantato in mezzo al Mediterraneo. Sul fronte adriatico, eravate (e un po’ restate, perché quelli non muoiono mai) bastione contro la minaccia russa, oggi soprattutto cinese. Ma come vi può essere saltato in mente di offrire ai cinesi il porto di Trieste? Chiedo scusa, ma avete dimenticato che quello scalo di Vienna su cui i rossi di Tito stavano per mettere le mani ve lo abbiamo restituito noi, nel 1954? E non avete la pazienza di studiare il collegamento ferroviario e stradale fra Vicenza (e Aviano) e Trieste -ai tempi miei faceva abbastanza schifo, ma non importa- che fa di quel porto uno scalo militare, all’intersezione meridionale dell’estrema linea difensiva Baltico-Adriatico? E forse dimenticate che una delle più grandi piattaforme di comunicazioni, cioè di intelligence, fuori del territorio nazionale l’abbiamo in Sicilia, a Niscemi, presso lo Stretto che separa Africa ed Europa, da cui passano le rotte fra Atlantico e Indo- Pacifico?”.>>
Il testo prosegue in modo interessante, ma siccome non sono qui intenzionato a sviluppare un discorso di natura geopolitica, per quel che voglio dire, basta così.
Parto da queste valutazioni, che sono un semplice realistico bagno di realtà, per fare alcune considerazioni generali sulla condizione storica dell’Italia.
Il dato di partenza, ben illustrato nel passaggio succitato, è che l’Italia non è in nessun modo valutabile come un paese politicamente sovrano.
Siamo un protettorato USA, cui è stato concesso di acquisire una seconda forma di dipendenza, economica, nei confronti della Germania, nella cornice UE. Questo è quanto.
Siamo dunque poco più di un’espressione geografica, come diceva Metternich, la cui politica ha minimi margini di gioco.
Siamo lontani dagli anni in cui vedevamo le dirette ingerenze dei “servizi segreti deviati” nella politica italiana (“strategia della tensione”), ma ne siamo lontani semplicemente perché ciò che spontaneamente si agita nella politica italiana è già totalmente asservito, e non richiede una manipolazione troppo robusta.
Facciamo una politica estera che ci viene dettata nei dettagli dagli USA, abbaiando obbedienti ai loro avversari.
Facciamo una politica interna innocua e perfettamente inconcludente, e una politica economica apprezzata dagli USA (e che coincide con il gradimento degli ordoliberisti tedeschi.)
Questa è la situazione e, come dice correttamente l’ufficiale, non cambierà fino alla terza guerra mondiale (o fino ad un cataclisma di pari portata).
I margini reali della nostra politica sono quelli che passano tra l’essere un paese nel gruppo di coda nella cornice ordoliberista europea e l’essere un paese nel gruppo di testa, nella stessa cornice. Possiamo cioè migliorare un po’ le condizioni di vita di alcuni gruppi, nel quadro economico dato.
Non è un obiettivo insignificante, può essere meritevole di impegno, ma segnala chiaramente i confini di una politica nazionale che vive nella boccia dei pesci rossi tenuta sul comodino dagli USA.
Non è in discussione la cornice di sistema economico, così come non è in discussione nulla che riguardi la politica estera.
Per quelli che si riempiono la bocca di ‘libertà’ è utile capire che la libertà che abbiamo è quella che il guardiano del carcere concede ai detenuti modello.
In questo contesto, c’è qualcosa che possiamo fare? C’è un ruolo che possiamo giocare senza che sia già pregiudicato?
Direi che rimane soltanto un autentico spiraglio di libertà positiva. E’ lo spiraglio, per rifarci ad un modello classico – e inarrivabile -, che aveva la Grecia antica rispetto alla strapotenza romana: non abbiamo margini per muovere foglia sul piano della politica sovrana, ma potenzialmente avremmo qualcosa da dire come ‘potenza culturale’.
Lo so che siamo troppo occupati, grazie ai nostri media, a piangerci addosso per non essere abbastanza simili al padrone americano.
Lo so che tutto ciò che viene promosso come esemplarità da perseguire dal nostro apparato informativo non travalica i limiti di un’emulazione goffa del modello americano.
Non paga del colonialismo materiale, economico e politico una parte significativa delle classi dirigenti del nostro paese, incardinata nel sistema mediatico, cerca h24 di ridurre l’Italia anche ad una colonia culturale.
Ciò avviene in mille modi, dall’adozione di modelli formativi di ispirazione americana, all’assorbimento passivo illimitato della filmografia americana (e dei suoi temi, che siamo indotti a immaginare siano i nostri), alla resa incondizionata a tonnellate di imprestiti linguistici da parvenu (ci muoveremo grazie al Green pass, canteremo le lodi del Recovery fund, che ci permetterà di ribadire il Jobs act, dopo essere finalmente usciti dal Lockdown, in attesa che vadano al governo quelli della Flat tax al posto di quelli del Gender fluid, e ci dedicheremo allo Smart working, rivitalizzando i settori del Food e del Wedding, mentre lotteremo impavidi contro le Fake news.)
Fortunatamente, nonostante tutti i tentativi di distruzione, le tradizioni culturali hanno una natura coriacea, un’inerzia che tende a permanere nonostante le attività di boicottaggio costante.
E così, nonostante la distruzione sistematica di scuola e università sul piano istituzionale, una tradizione di formazione mediamente decente, a volte brillante, continua a persistere.
E così, nonostante la demolizione a colpi di squallore american-style della cultura musicale, in quello che un tempo era considerato il paese musicale per eccellenza, rimangono buone tradizioni di formazione e continuiamo a produrre musicisti di rango.
E così, nonostante i tentativi di devastare la cultura enogastronomica più ricca del mondo a colpi di bollinature UE e promozioni McDonald’s, rimane un’ampia cultura diffusa della buona alimentazione.
Ecc. ecc.
Il punto di fondo credo sia il seguente.
Nel medio-lungo periodo l’unico vero patrimonio che, come italiani, siamo nelle condizioni di coltivare, preservare e sviluppare liberamente è quello culturale.
Abbiamo ereditato una delle dieci tradizioni culturali più ricche, durature e molteplici del mondo.
E se non cediamo su tutta la linea a quelle élite cosmopolite, mediaticamente sovrarappresentate, ma culturalmente straccione che ambientano i loro sogni a Central Park e nella Baia di San Francisco, se non molliamo completamente il colpo, può darsi che la storia ci riservi ancora un ruolo che non sia quello di un villaggio turistico coloniale.
Andrea Zhok
Professore di Filosofia Morale all’Università di Milano
fonte: l’antidiplomatico – https://www.lantidiplomatico.it