L’Italia usciva sconfitta nel 1945. Negli ultimi due anni al centro nord (1943/45), tra resistenza e guerra civile, le morti e i conflitti sociali interni erano divenuti esplosivi. Monarchici e repubblicani dividevano pericolosamente la politica italiana. Dal nord est giungevano voci tremende sulle stragi che i comunisti Jugoslavi di Tito compivano ai danni degli italiani (le foibe). Povertà e miseria rendevano pesantissime le condizioni di vita delle fasce più deboli. Al sud disoccupazione e latifondo gravavano sulle plebi meridionali.
Nel 1950 il governo De Gasperi vara due riforme imponenti: riforma agraria e legge per il mezzogiorno. Con la riforma agraria, De Gasperi impegna 750mila ettari di terreno a nuove regole, 200mila tra Basilicata e Puglia, cifre e numeri impressionanti che determinano sviluppo immediato per larghe fasce della popolazione. Da mezzadri a proprietari (la terra ai contadini) che dissodano, che arano, che coltivano: un gran fermento attraversa le campagne, e l’Italia torna a sorridere. La mano d’opera agricola rimane nel territorio, le tensioni sociali si mantengono nei livelli accettabili, lotti poderi quote sono il risultato di espropri ai danni dei latifondi e delle famiglie più blasonate della borghesia meridionale. Ma poi, tra il 1950 e il 1952, De Gasperi va oltre: vara la riforma fiscale, il piano Ina-Casa, il piano forestazione e rimboschimento, il piano di addestramento professionale. E per brevità mi fermo qui.
Perché tanto successo di De Gasperi e della tradizione storica della Democrazia Cristiana? De Gasperi, e il pensiero cattolico in generale, mirava ad una economia civile, a recuperare grandi possibilità di lavoro per tutti, a creare le condizioni del lavoro, a rendere le persone libere dal bisogno, a creare ricchezza e distribuire ricchezza, a includere e non ad escludere dai processi produttivi, ad aggregare e non a separare. In una parola, mirava a realizzare qualcosa che si avvicinasse alla nozione di felicità postulata dal grandi del pensiero teorico secondo cui, per dirla in breve, una persona è felice quando l’attività dell’anima secondo ragione è in esercizio e i bisogni fondamentali vengono soddisfatti. Lavoro e giustizia sociale sembrano oggi essere le maggiori aspettative della maggioranza del popolo.
Tra qualche mese la Federazione Popolare dei democratici cristiani, la nostra formazione politica, completerà gli aspetti legati al nome, al simbolo, allo statuto e alle regole interne per rendere il Partito luogo di democrazia e di giustizia, di elaborazione di proposte e di progetti, una entità capace di attrarre e non di respingere o peggio ancora sede di rampantismo politico. Occorrerà subito mettere mano alle grandi questioni che ci derivano dal nostro essere cristiani: il capitalismo finanziario che disgrega e non unisce, l’Europa dei popoli e della solidarietà e non l’Europa dei Trattati senz’anima, i grandi investimenti in opere e dove e come trovare le risorse finanziarie che li permettono, le risposte concrete ai nostri giovani che devono poter entrare nei sistema produttivo dopo gli studi, come uscire dalla pandemia e quali le urgenze per rendere possibile la ripresa. E l’elenco delle cose da fare non finisce qui. Uomini come De Gasperi, Andreotti, Fanfani, Moro, Marcora, Donat-Cattin, Forlani, Colombo, Piccoli, Rumor, De Mita – l’elenco è ancora lungo – dimostrano che la tradizione del cattolicesimo politico rifiuta il leaderismo o un’unica persona al comando. Non c’è il leader in una democrazia partecipata, ma tutti sono leader e la responsabilità è partecipazione di tutti e sta proprio qui il valore di un grande partito che noi vogliamo rinnovare. Lo faremo con nuovi protagonisti che ora si stanno preparando.
Pasquale Tucciariello, Federazione Popolare Circolo di Rionero in Vulture