I talebani hanno annunciato che la guerra è finita. Una banale registrazione di un dato, che però banale non è perché la guerra afghana era stata immaginata come una guerra infinita, anzi il primo capitolo delle guerre infinite post 11 settembre.
Una nuova modalità di conflitto, mai sperimentata prima, che serve anche ad alimentare all’infinito l’apparato militar-industriale americano e a porlo al centro della scena politica insieme alla Tecno-finanza, alla quale è legato da vincoli indissolubili, erodendo sempre più il ruolo della Politica.
Così aver posto fine alla guerra infinita apre prospettive, sia nei rapporti di forza interni all’Impero che per la sua proiezione globale, dato che riguarda gli altri conflitti aperti dagli Usa in questi anni, al momento sopiti, ma che possono riaprirsi.
Per questo la dichiarazione che la guerra è finita è tanto dirompente e per questo si sta facendo di tutto per evitare che il passaggio di consegne in Afghanistan proceda con relativo ordine e come da accordi intercorsi (vedi nota precedente).
A questo serviva anche la strage di Kabul, alla quale abbiamo dedicato una nota nella quale si riferiva della bizzarra intervista della Cnn al leader dell’Isis afghano, il quale preannunciava l’attentato.
Il Gate lasciato aperto
Ad accrescere il mistero sull’eccidio di Kabul, il fatto che il Comando dell’esercito degli Stati Uniti sapeva dell’attacco e, in una riunione riservata, aveva individuato l’Abbey Gate, dal quale si accedeva all’aeroporto, come il sito a “più alto rischio” (The Guardian).
Aveva anche pianificato di chiudere tale accesso giovedì pomeriggio, cioè quando si è verificato l’attentato, ma l’avrebbe lasciato aperto per consentire l’evacuazione del personale britannico.
Tutto questo è stato documentato da un’inchiesta di Politico, che si è attirato le ire dell’esercito Usa perché avrebbe rivelato del materiale sensibile, mettendo a rischio la sicurezza di non si sa bene chi.
I britannici hanno negato di aver fatto richieste in tal senso, ma è un particolare di poco conto: quel che conta è che quell’ingresso doveva essere chiuso ed è rimasto aperto, consentendo all’attentatore di mischiarsi alla folla e di aumentare così al parossismo la portata dell’eccidio.
Le vittime collaterali che non interessano a nessuno
Un errore di valutazione, per fare un’ipotesi come un’altra, come un errore di valutazione ha viziato il successivo attacco di un drone Usa a una cellula di attentatori.
Attacco “riuscito” secondo le prime dichiarazioni ufficiali che hanno fatto arrabbiare molte persone. Tra queste, i superstiti della famiglia Ahmadi, che il raid ha falcidiato: dieci i morti di questa famiglia, tra cui sei o sette bambini, di cui due di due anni.
Così citiamo Roberto Benigni, che ieri ha pianto le “mamme che gettano i bambini oltre il filo spinato” dell’aeroporto perché siano portati via dal Paese, concludendo: “Anch’io ho il desiderio di gettare il mio cuore oltre il filo spinato quando vedo quelle immagini, perché riguardano me: io sono loro, io sono quel bambino, io sono tutte le facce del Cristo”.
Anche questi bambini, uccisi in un’azione a dir poco rozza, hanno le facce di Cristo, ma di loro non interessa nulla a nessuno. Sono solo vittime collaterali, non fanno parte della tragedia afghana che interessa i media.
Né, come scrive, The Intercept, ci sarà una seria indagine “sull’incidente”, per appurare anche se sia vera la seconda versione ufficiale, secondo la quale sono morti a causa dell’esplosione degli ordigni trasportati dalla cellula terrorista.
Anche perché, nonostante spesso i militari Usa pubblichino i video degli attacchi riusciti, non si sa se verrà reso pubblico il video di questa azione, come da risposta che l’esercito ha dato alla richiesta specifica di Intercept.
D’altronde non sono altro che le più recenti vittime collaterali delle bombe Usa, che, come scrive The Intercept: “Hanno ucciso un gran numero di civili […] hanno colpito famiglie che viaggiavano in auto e autobus, feste di matrimonio, ospedali pieni di pazienti e gruppi di contadini che lavorano nei campi”.
Uno stillicidio quotidiano che il liberale Ron Paul commenta così: “Gli interventisti amano fingere di interessarsi alle ragazze e alle donne in Afghanistan, ma in realtà è solo un disperato tentativo per perpetuare i 20 anni di occupazione statunitense. Se ce ne andiamo, dicono, le ragazze e le donne saranno discriminate dai talebani. In realtà, è difficile immaginare una discriminazione peggiore dell’essere inceneriti dall’attacco di droni”…
Non si tratta di sminuire i rischi del futuro, ma di essere coscienti anche degli orrori del passato, a cui la conclusione della guerra ha posto (forse) fine.
Trump – Biden: convergenze parallele
Ma i falchi Usa stanno facendo di tutto per tornare nel Paese, come evidenzia anche il duro intervento del generale HR McMaster, già Consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, che subito dopo l’attentato ha incolpato i talebani (Newsweek).
Per fortuna è rimasto isolato, ma, dato che tali accuse senza fondamento ricalcano una dinamica usuale dei falchi Usa, McMaster potrebbe rivelarsi un apripista di operazioni simili in futuro.
Per fortuna i falchi sono in “declino”, come scrive David Druker sul Washington Examiner, il quale lamenta che Trump ha cambiato il volto dei repubblicani, emarginando i guerrafondai. Tanto è vero che, pur criticando le modalità del ritiro, nessuno di loro (tranne due) ha chiesto di rimanere in Afghanistan.
Così Dana Milibank può scrivere sul Washington Post che “Biden ha perseguito un’agenda sorprendentemente trumpiana”. Tale la convergenza parallela dei due presidenti, con polemiche accese motivate più che altro dalle future elezioni di midterm.
Sul cosa fare in futuro, rimandiamo a un’intervista molto intelligente di Ian Bremmer per la Stampa, che spiega come sarebbe un errore isolare i talebani, in cambio ovviamente di garanzie, e che è necessario un “approccio multilaterale” che coinvolga Cina e Russia. Un’idea suggerita da Mario Draghi che ha lanciato l’ipotesi di un G-20 (1), ma che sembra per ora andata in fumo, per usare un’immagine suggestiva suggerita dal rogo che ha consumato un grattacielo a Milano.
(1) Possibile un imput americano – e certo un placet – sull’atlantista Draghi, ché certo Biden non poteva dire all’America, dopo il disastro, di essere aperto a un aiutino da parte di Russia e Cina… doveva muoversi qualcun altro per lui. E che fosse (sia?) un’ipotesi seria lo dimostra la visita del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a Roma.
Fonte: https://piccolenote.ilgiornale.it