Meno soldi ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, per darli agli autonomi. Sarà probabilmente questo il cardine – ampiamente prevedibile – della prossima Finanziaria, che vede il ministro Giorgetti alla disperata ricerca di risorse per mantenere le promesse elettorali che l’attuale situazione economica ha reso difficilissime da realizzare.
Non si tratta di una novità per il governo Meloni: già nella Legge di bilancio 2023 l’esecutivo aveva tagliato la rivalutazione per le pensioni pari o superiori al quadruplo del trattamento minimo. Le diminuzione avevano oscillato dal 15% al 68%. Non proprio bruscolini, considerando che con l’aumento dell’inflazione gli ex lavoratori toccati dalla misura avrebbero perso, secondo il Cida (il sindacato dei dirigenti), tra il 7 e il 9% del loro potere d’acquisto.
Ora l’idea è di tornare a colpire, e con maggior forza, prelevando altri 20 miliardi dalle tasche di pensionati che in massima parte non sono certo ricchi, ma appartengono a quel cedo medio che avanti di questo passo è destinato a sparire.
Intendiamoci, il disequilibrio fiscale non è un’invenzione della destra: già oggi il 13% dei contribuenti, che ha un reddito di almeno 35mila euro lordi, si fa carico del 60% della raccolta Iperf, pagando per i milioni di italiani che al fisco nascondono tutto o quasi. Ma non c’è dubbio che questo governo stia facendo di tutto per far capire che riconosce solo i diritti delle partite Iva (si vedano le battaglie contro “lo strozzinaggio di Stato”, le difese dei tassisti, dei balneari e in generale dei lavoratori autonomi), usando il resto d’Italia come un bancomat. Approfittando del silenzio complice della sinistra, che riesce a considerare un pensionato che riceve un assegno di meno di 2mila euro mensile un riccone da spremere.
Ma questa volta, confermando una tendenza già notata nei giorni scorsi, i sindacati sembrano pronti a fare da supplenti all’opposizione, reagendo in maniera netta. Il Cida, che non è organizzazione da manifestazioni in piazza, ha deciso di muoversi con un’azione legale rivolgendosi direttamente alla Corte Costituzionale: «Il sistema previdenziale ed economico italiano non può attingere alle tasche dei 5 milioni di italiani che, in servizio o in pensione, pagano da soli il 60% dell’Irpef. Mentre tutti gli altri sono quasi interamente assistiti – ha spiegato il presidente del sindacato Stefano Cuzzilla al Corriere della Sera -. La sostenibilità sta nel recupero deciso dell’evasione, che ormai viaggia a circa 100 miliardi ogni anno». il sindacato è intenzionato a fare sul serio; ha già annunciato il nome dello studio legale al quale ha deciso di rivolgersi.
Altrettanto battagliera è la Uil, che si era già mossa questa estate, invocando una nuova pronuncia della Corte Costituzionale che già nel 2015 aveva dichiarato illegittimi tagli analoghi, in quel caso decisi dal governo Monti. Il ragionamento della Consulta era basato sul fatto che lo stop all’adeguamento delle pensioni all’inflazione è possibile solo in casi “di vera emergenza” e se la crisi del 2012 non lo era certamente non può considerarsi tale il rallentamento dell’economia di questi mesi.
Rallentamento che, se si continuerà a colpire il ceto medio causandone l’estinzione, rischia di diventare una vera e propria frenata.
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