di Americo Mascarucci

Se ne è andato questa mattina, ultimo giorno dell’anno 2022, in silenzio, come in silenzio ha vissuto questi nove anni da Papa emerito. Benedetto XVI è morto poche ore fa, dopo che nei giorni di Natale si erano aggravate le sue condizioni di salute. Aveva 95 anni, e nonostante fosse impedito nei movimenti e nella parola, a sentire chi lo ha incontrato, non ha mai perso la lucidità.

Joseph Ratzinger è stato un gigante, un gigante della fede e della Chiesa. Da giovane fu un convinto innovatore ed entrò nel Concilio Vaticano II come progressista convinto che fosse necessario separare le distanze e abbattere gli steccati fra la Chiesa e il mondo: ma poi quando capì che il vento modernista rischiava di prendere il sopravvento e di consegnare la Chiesa al mondo, si oppose a chi come Karl Rahner sognava di scardinare completamente la tradizione e frenò molte delle spinte rivoluzionarie che si agitavano fra i padri conciliari; è in seguito diventato il maggior esponente della cosiddetta “ermeneutica della continuità”, ovvero la lettura interpretativa del Concilio in continuità, e non in aperta rottura con la tradizione. Ed infatti da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è intervenuto a correggere gli errori conciliari che si sono diffusi pericolosamente negli anni settanta e ottanta, riportando tutte le innovazioni sul binario dell’ortodossia, e proprio per questo è stato odiato dai modernisti, i suoi principali nemici.

E’ stato uno stretto collaboratore di San Giovanni Paolo II, ci fu sempre grande intesa fra loro, sebbene Ratzinger sia stato critico anche su alcune posizioni prese dal “papa polacco” nel corso del suo lungo pontificato; non gradì ad esempio certe derive ecumeniche frutto del cosiddetto “spirito di Assisi”, cercò di impedire fino all’ultimo la scomunica di monsignor Marcel Lefebvre, tentò di  frenare anche le continue richieste di perdono che Wojtyla rivolse durante gli anni del suo pontificato per quelli che non riteneva essere stati degli errori impedonabili ma necessari. Ma con Giovanni Paolo II vi fu piena e totale sintonia nel contrastare le derive moderniste, la contestata Teologia della Liberazione, nel difendere i principi etici, la sacralità della vita dal concepimento alla morte, la funzione procreativa del matrimonio, la famiglia naturale, così come fu piena l’intesa sulla necessità di risvegliare il Cristianesimo nel cuore dell’Europa e dell’Occidente per contrastare il nemico più insidioso, ossia il relativismo etico.

Poi nel 2005 Ratzinger è diventato papa, e nonostante fosse subito evidente la differenza di carattere e di carisma rispetto al suo predecessore, si rese protagonista di gesti eclatanti: il discorso di Ratisbona, criticato perché ritenuto motivo di rottura con il mondo islamico, fu l’espressione massima della grandezza di questo teologo da sempre convinto che fede e ragione dovessero camminare insieme, che non fossero affatto nemiche e che l’una non dovesse escludere l’altra. E mise in evidenza come proprio nel cristianesimo si evidenziasse la migliore alleanza fra fede e ragione.

Tentò di sanare la frattura con il mondo tradizionalista attraverso il Motu Proprio Summorum Pontificum che riconosceva la liturgia tridentina come patrimonio della Chiesa, pur non riuscendo a ricomporre lo scisma con la fraternità San Pio X. Commise senza dubbio degli errori, ad iniziare dalla scelta dei collaboratori, sbagliò ad affidare il governo della Chiesa al cardinale Tarcisio Bertone totalmente estraneo agli ambienti di Curia e si ritrovò suo malgrado al centro dello scandalo Vatileaks con la fuga di documenti riservati dalle stanze papali.

La rinuncia al pontificato fu per certi versi una prova di grande amore per la Chiesa. Lasciò la guida della barca di Pietro perché consapevole di non avere più le forze per governarla, preferì farsi da parte e tornare alla sua principale attività, lo studio unito alla preghiera.

In questi nove anni è stato spesso indicato come “l’antipapa” dai modernisti o l’unico papa legittimo da alcuni ambienti anti bergogliani, ma lui è rimasto sostanzialmente se stesso, coerente con le sue idee e i suoi principi, non sempre in linea con quelli di papa Francesco, ma sempre un passo indietro rispetto al capo della Chiesa al quale sin dal principio ha giurato obbedienza.

E va detto che se papa Francesco in questi anni ha deluso molte delle aspettative dei modernisti è stato anche grazie al Papa emerito che ha continuato ad essere un punto di riferimento, un esempio e anche un maestro per il pontefice regnante. Lo sanno bene i vescovi tedeschi di stampo rahneriano che non hanno mai amato Benedetto e che hanno tentato più volte in questi anni di forzare la mano a Francesco sui temi dell’abolizione del celibato ecclessiastico, dell’ordinazione delle donne prete, del riconoscimento delle unioni civili e gay. Tutti tentativi andati a vuoto.

Di Benedetto resterà il ricordo di un grande teologo che ha salvato la Chiesa negli anni in cui il fumo di Satana, come ebbe a dire Paolo VI, entrò nei sacri palazzi, gli anni del grande inverno seguito al Concilio Vaticano II e alla divulgazione dei suoi molti errori ad opera dei modernisti. Ratzinger è stato un argine al proliferare del modernismo e del relativismo etico, anche favorendo il dialogo fra fede e ragione, e soprattutto colmando le distanze fra scienza e fede. Anche per questo fu odiato da certo mondo accademico che si oppose al suo ingresso allUniversità La Sapienza, perché impauriti dalla grandezza di un pontefice che metteva in crisi le ragioni stesse dell’ateismo.

Ci mancherà Benedetto, ma la sua grandezza resterà nei secoli al pari di quella dei grandi dottori della Chiesa. Perché questo è stato Ratzinger, un dottore della Chiesa, e non sarà certamente la sua rinuncia al pontificato l’unico motivo perché la storia lo ricordi

fonte:

Di BasNews

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito web utilizza i cookie per migliorare la facilità d'uso. Se utilizzi il sito accetti l'utilizzo dei cookie.