La coerenza è una virtù. Ma in politica vale solo quando si sta all’opposizione. Questa regola Giorgia Meloni la sta sperimentando oggi nella polemica sul mancato rinnovo del taglio delle accise sulla benzina che fu deciso da Mario Draghi subito lo scoppio della guerra in Ucraina per soccorrere i consumatori travolti dall’aumento del prezzo dei carburanti.
L’opposizione accusa la premier di incoerenza e punta a inchiodarla alla sua promessa di tagliare le accise durante la campagna elettorale, promessa che appunto è stata ignorata da Giorgia una volta entrata a Palazzo Chigi. Televisioni e siti anti-governo ripropongono impietosamente il video elettorale della leader di FdI alla pompa di benzina che denuncia l’iniquità delle accise sui carburanti in Italia.
Ci troviamo indubbiamente di fronte al primo passo falso compiuto dalla Meloni dopo mesi di mosse azzeccatissime e di condotta impeccabile. L’errore però non sta in questo caso nella scelta di tornare ai livelli più alti di tasse sulla benzina, dal momento che si tratta di una misura ineludibile, ancorché impopolare. E ineludibile perché altrimenti il governo sarebbe stato costretto a rifinanziare il taglio delle accise in deficit (oltre dieci miliardi il costo) , con la conseguente bocciatura della manovra da parte di Bruxelles e l’inevitabile rialzo dello spread. Tra i due mali, la Meloni ha saggiamente scelto quello di affrontare l’impopolarità del caro-carburante.
Dov’è allora l’errore? Nell’aver tentato di attenuare il danno d’immagine scaricando le colpe, d’intesa con Matteo Salvini, su non meglio precisati “speculatori” e minacciando di sguinzagliare la Guardia di Finanza. S’è trattato del classico caso di toppa peggiore del buco, perché l’opinione pubblica non l’ha bevuta e la premier ha fatto la figura di chi non si è assunta fino in fondo la responsabilità politica di una scelta impopolare, ancorché necessaria. L’unico effetto ottenuto è stato quello di fare infuriare i titolari delle pompe di benzina, che non ci stanno a passare per approfittatori e che hanno pertanto proclamato due giorni di sciopero per il 25 e 26 gennaio.
Speriamo che la Meloni tragga da tutta questa vicenda il giusto insegnamento e capisca che conviene, costi quel che costi, mettere sempre la firma sulle misure del governo, anche quando queste fanno arrabbiare il popolo elettore. Alla fine, l’opinione pubblica apprezza sempre i governanti che si assumono fino in fondo le proprie responsabilità.
Detto questo, riteniamo però che il danno politico provocato dal caso accise sia comunque limitato e che non inciderà più di tanto sulla popolarità della Meloni. Il motivo è semplice: in questo momento la premier può anche permettersi di sbagliare. E può farlo sia perché siamo a inizio legislatura (e la maggioranza è solida) sia perché l’opposizione, a partire dal Pd, è talmente malmessa da non poter approfittare dei passi falsi del governo.
Chi oggi sta nei guai peggiori è notoriamente il Pd. Basterà dire che le energie del partito di Enrico Letta sono state in questi giorni interamente assorbite, non nel polemizzare col governo, ma nell’accapigliarsi al proprio interno sull’astratta e (ai più) incomprensibile polemica sulle “regole” per le primarie e il congresso.
Il filosofo Guy Debord sosteneva che la politica non è che una «immensa accumulazione di spettacoli». Giusto. Solo che c’è spettacolo e spettacolo. Quello del governo è uno spettacolo che può far arrabbiare. Quello del Pd è invece lo spettacolo delle discussioni da supercazzola. E fa decisamente ridere.
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